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Vangelo / Dio non rovina e non picchia, ci vuole responsabili

di Lidia e Battista Galvagno

PENSIERO PER DOMENICA – XIX TEMPO ORDINARIO – 10 AGOSTO

Le letture della XIX domenica sono lunghe e impegnative. E ci dicono l’importanza dello studio per contestualizzare testi che riflettono culture e condizioni di vita lontane da noi. Si tratta però di testi ricchi di spunti. Ne raccogliamo tre.

Vangelo / Dio non rovina e non picchia, ci vuole responsabili
La venuta del Signore. Da miniatura fiamminga del XV secolo, Piacenza, Biblioteca comunale. Crediti: Lores Riva / FC

Purificare l’idea di Dio, quale emerge dal testo della Sapienza (18,3.6-9). Questo libro, gioiello della letteratura giudaico-ellenistica, scritto alle soglie del cristianesimo per le comunità della Diaspora, nella terza parte rilegge la storia di Israele con le categorie dell’epoca. Ma ciò che per quella cultura era normale, per noi è inaccettabile: leggere di un Dio responsabile della “rovina dei nemici” ci fa venire alla mente le immagini di Gaza rasa al suolo! Gesù ha faticato a far capire che Dio non è così, ma è un Padre che ama tutti i suoi figli. Egli stesso ha subìto il condizionamento della cultura del suo tempo, come sentiremo nel Vangelo, ma ha cercato di andare oltre e il Vangelo lo documenta!

Rileggere la storia per scoprire la fede dei padri. È il brano famoso della Lettera agli Ebrei che esalta la fede di patriarchi partendo da un’affermazione: «La fede è fondamento di ciò che si spera… Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio». Nel brano odierno (11,1-2.8-19) campeggiano, come modelli di fede, Abramo, capace di partire verso l’ignoto e di non arrendersi e Sara, capace di attendere il figlio anche fuori dell’età. Fidarsi è una componente essenziale della condizione umana. Le scelte decisive della vita – sposarsi, fare dei figli, accompagnarne la crescita, avviare un lavoro… – sono atti di fede. La fede che ha sorretto la vita dei nostri padri può guidare anche la nostra.

Non temere, ma essere vigilanti. La vigilanza, raccomandata da Gesù in tre parabole (Lc 12,32-48) con protagonisti un padrone e dei servi, è stata in passato intesa come paura. La similitudine di un padrone che torna all’improvviso per sorprendere i servi sembra fatta apposta per generare paura. Una simile immagine di Dio non è facile da accettare oggi. Più lontana da noi è l’immagine di un Dio-padrone che picchia i servi negligenti. Questa era la cultura dell’epoca. Meno male che Gesù corregge il tiro, introducendo le parabole con l’invito: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». Forse la chiave interpretativa è questa: responsabilità e vigilanza non servono a Dio, ma a noi. La vigilanza è tensione, movimento, responsabilità. L’opposto di un cristianesimo sonnacchioso e incolore. Ne abbiamo un disperato bisogno.

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