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Al museo Eusebio presto ci sarà più spazio dedicato ai ragni

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di Davide Barile

ALBA A Zara, per il congresso europeo di aracnologia, c’era pure un albese, il ricercatore Luca Borio, presidente degli Amici del museo Federico Eusebio. «Mi occupo dei ragni dall’inizio del mio percorso accademico», spiega.

«Ho partecipato al congresso in qualità di studente, anche se non lo sono più, insieme ad alcuni dottorandi del laboratorio diretto da Marco Isaia all’Università di Torino. L’aracnologia è una scienza che nasce alla fine del Settecento, ai congressi si espongono gli studi in corso. In particolare, a Zara ho esposto la ricerca sui ragni endemici italiani della famiglia Dysderidae. Si tratta di ragni rossissimi tipici del Mediterraneo: 83 specie classificate, 52 solo in Italia».

«Delle specie valuto lo stato di conservazione per capire se sono minacciate, come le 47 endemiche italiane: magari sono in un areale molto ristretto, come un’isola, e vi è il rischio di incendi, oppure l’habitat è occupato da specie invasive, o patiscono maggiormente il cambiamento climatico. Una specie, per esempio, è presente solo a Montecristo e qui le capre importate dall’uomo stanno distruggendo i boschi di leccio». In Piemonte «le specie di disderidi abitano soprattutto le grotte o gli ambienti sotterranei, luoghi soggetti a danni dovuti all’aumento delle temperature».

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Luca Borio

Al museo Eusebio

Presto Borio metterà a disposizione del museo Eusebio passione e competenza per ampliare la collezione di aracnologia: «Come Amici del museo stiamo portando avanti, grazie ai fondi del Comune, un piccolo progetto di monitoraggio della biodiversità nelle nostre zone. Per ora, su questo argomento esistono soltanto studi relativi all’Astigiano e al Roero. La collezione di ragni fu avviata da Oreste Cavallo, il quale, essendo specialista in entomologia e non in aracnologia, aveva fatto classificare gli esemplari da Carlo Pesarini, un aracnologo di Milano. Mi occupo della collezione proprio su consiglio di Oreste».

Il campionamento dei ragni dell’Albese «avverrà tramite il posizionamento di trappole a caduta da inserire nel terreno. Si tratta di vaschette di plastica contenenti il glicole etilenico che li fa morire. È l’unico metodo possibile con i fondi che abbiamo, ma non c’è un impatto sull’ecosistema: la trappola cattura circa 50 esemplari e ogni ragno fa 50 figli. Studiarli, poi, è un modo per capire come preservarli. Per la cattura dei ragni aerei useremo i cosiddetti ombrelli entomologici».

Al termine, «presenteremo uno studio con i dati. I ragni non saranno esposti in vetrina perché, a differenza degli insetti, hanno l’esoscheletro meno coriaceo e vanno conservati in boccette di alcol. Quando muoiono tendono a raggrinzirsi». Tra i progetti c’è pure l’organizzazione di incontri divulgativi al museo: «I ragni sono molto bistrattati e fanno paura. In realtà, sono bioindicatori importanti e tengono sotto controllo le popolazioni di insetti».

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