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Cinema a Venezia / Prima mondiale per il film Il mago del Cremlino con Jude Law nei panni di Putin

Walter Colombo, inviato a Venezia

MOSTRA DEL CINEMA – Sbarca al Lido Il mago del Cremlino (Le Mage du Kremlin), film in concorso del regista francese Olivier Assayas, ambientato in Russia nei primi anni Novanta dopo il crollo dell’Urss.

Nel caos di un Paese che cerca di ricostruirsi, Vadim Baranov, un giovane brillante, sta per trovare la propria strada. Prima artista d’avanguardia, poi produttore di reality show, diventa spin doctor di un ex agente del Kgb in ascesa: Vladimir Putin. Immerso nel cuore del sistema, Baranov plasma la nuova Russia, confondendo i confini tra verità e menzogna, credenze e manipolazione. Ma c’è una figura che sfugge al suo controllo: Ksenia, donna libera e inafferrabile, che incarna la possibilità di fuga, lontano da questo gioco pericoloso. Quindici anni dopo, ritiratosi nel silenzio e avvolto nel mistero, Baranov accetta di parlare, rivelando i segreti occulti del regime che ha contribuito a costruire.

«Questo film è nato grazie a una di quelle fortunate coincidenze che diventano poi aneddoti per cinefili. Giuliano Da Empoli, l’autore del romanzo, è il mio vicino di casa in Toscana, dove passo di solito le mie vacanze. Mi aveva fatto leggere il romanzo e ho subito pensato che dovevo trarne un film. E così è andata», dichiara il regista. E la prima mondiale all’interno del concorso veneziano nel pieno delle consultazioni per raggiungere una pace duratura nel conflitto tra Russia e Ucraina non fa che accrescere la curiosità nei confronti di questa origin story, narrata da un punto di vista privilegiato.

Il personaggio di Baranov è fittizio, ma basato sulla figura di Vladislav Yuryevich Surkov, scienziato, regista teatrale, scrittore, ritenuto l’architetto dell’ascesa al potere di Putin. «Le Mage du Kremlin non è un film sull’ascesa di un uomo» ha dichiarato Assayas, «né sulla forza con cui viene imposto il potere o sulla reinvenzione di una nazione moderna e arcaica allo stesso tempo, nuovamente soggiogata dal totalitarismo. È piuttosto una riflessione sulla politica moderna, o meglio, sulle cortine fumogene dietro cui essa si nasconde oggi: cinica, ingannevole e tossica».

Continua ancora Assayas: «Credo, o forse mi illudo, che valga ancora la pena di denunciare i meccanismi interni delle menzogne e dell’oppressione. Questa convinzione è ciò che mi ha spinto ad adattare per il grande schermo il romanzo di Giuliano da Empoli. È la testimonianza di un dramma ancora in corso sulla scena mondiale, ma visto attraverso una lente dolorosamente umana». È la travagliata umanità del destino di Vadim Baranov che ci guida e ci turba allo stesso tempo. La sua storia d’amore con Ksenia, un’osservatrice lucida e giudice spietata delle sue manovre, che rispecchia il nostro viaggio morale tra il bene e il male.

Come possiamo trovare la redenzione, nonostante tutto, come riusciamo a camminare sul filo del rasoio, colpevoli e innocenti, eppure tutti tragicamente complici? Il regista francese sarà accompagnato sul tappeto rosso della sala grande da un cast internazionale di grande spessore, con Jude Law nei panni di Vladimir Putin, Paul Dano in quelli di Baranov, mentre il premio Oscar per The Danish Girl Alicia Vikander interpreta Ksenia, personaggio fondamentale all’interno del racconto.

Il maestro è un racconto sulla potenza dell’insegnamento

Andrea Di Stefano porta a Venezia Il maestro, film fuori concorso per omaggiare i mentori imperfetti, feriti ma pieni di cuore, un viaggio dentro il dolore e la bellezza della crescita, un racconto sulla potenza dell’insegnamento e sui legami umani che ci cambiano. E lo fa scegliendo di allontanarsi dai toni action thriller dei suoi precedenti lavori per immergersi nella leggerezza malinconica della commedia all’italiana.

Estate, fine anni Ottanta. Dopo anni di allenamenti duri e regole ferree, Felice (Tiziano Menichelli), tredici anni e sulle spalle tutte le aspettative paterne, arriva finalmente ad affrontare i tornei nazionali di tennis. Per prepararlo al meglio, il padre lo affida al sedicente ex campione Raul Gatti (Pierfrancesco Favino), che vanta addirittura un ottavo di finale negli Internazionali d’Italia al Foro Italico. Di partita in partita, i due iniziano un viaggio lungo la costa italiana che, tra sconfitte, bugie e incontri bizzarri, porterà Felice a scoprire il sapore della libertà e Raul a intravedere la possibilità di un nuovo inizio. Tra i due nasce un legame inatteso, profondo, irripetibile. Come certe estati, che arrivano una volta sola e non tornano più. Una commedia all’italiana per chiunque creda ancora che il mondo possa essere migliore, una lezione alla volta per un viaggio dentro di sé.

La storia di Ann Lee e degli Shakers

La regista norvegese Mona Fastvold porta alla Mostra del cinema il film in concorso The testament of Ann Lee, co-sceneggiato da Brady Corbet, con cui la regista ha lavorato per The brutalist, il film che lo scorso marzo si è guadagnato tre statuette agli Oscar; un musical storico e surreale, una favola epica ispirata alla vita della leader religiosa Ann Lee, fondatrice degli Shaker, un movimento religioso radicale nato alla fine del XVIII secolo.

Il film, basato su eventi reali, è una rivisitazione speculativa della vita di Ann Lee, una delle poche leader religiose del XVIII secolo. Lei e i suoi seguaci, noti come Shakers, pregavano attraverso canti e movimenti estatici: atti di devozione tremanti, esuberanti e fisicamente espressivi.

Ma chi era Ann Lee? Vissuta tra il 1736 e il 1784 è considerata una delle figure più controverse delle sette cristiane. Predicava che Cristo si era reincarnato in una donna e quella donna era lei. I seguaci di Mother Ann, presero il nome di Shaker perché l’espiazione del peccato avveniva attraverso danze e canti energici che si consumavano in ampie stanze perimetrate dai loro celebri appendiabiti in legno. La rinuncia alle esperienze carnali era insindacabile. Ann Lee rifiutava categoricamente ogni relazione fisica.

Nel 1774 Mother Ann lascia Manchester, sua città natale, dove più volte era stata arrestata per quei balli considerati irrispettosi e per ciò che andava predicando. Si stabilisce a Watervliet (oggi Nikasayuna), nei pressi di Albany, la capitale dello stato di New York, con sette dei suoi seguaci. È qui che la storia della comunità diventa anche una storia di design. Seguendo i princìpi di honesty, utility e semplicity, gli Shaker fabbricano mobili per abitare spazi puri ed essenziali e li vendono anche. Così la comunità che ambiva a stabilire il regno di Dio sulla terra viveva tra quelle danze, coi guadagni dei loro mobili autoprodotti, senza sesso e rispettando una totale e reale parità di genere.

La regista dichiara che pur essendo cresciuta in una famiglia laica, «le profezie di Ann Lee, per quanto inverosimili, mi hanno profondamente commossa. Non perché condivida la sua fede, ma perché riconosco in lei un desiderio di giustizia, trascendenza e grazia per tutti. La sua radicale ricerca di un’utopia costruita con le proprie mani è segno dell’impulso creativo al centro di ogni sforzo artistico: l’urgente necessità di dare nuova forma al mondo. In particolare, la sua chiarezza d’idee e la capacità di guidare gli altri verso un comune ideale richiamano lo spirito collaborativo che è alla base di qualsiasi impresa creativa, che si tratti di comporre una sinfonia, costruire un edificio o realizzare un film». Ogni disciplina è caratterizzata dalla stessa aspirazione ovvero la ricerca di momenti di grazia e questo film è offerto come tributo al suo sogno e al silenzio che ora lo circonda.

Va oltre le attese la partecipazione alla manifestazione pacifica per la Palestina

Si è svolta sabato sera senza incidenti e in un’atmosfera di festa la preannunciata manifestazione pacifica pro Palestina con un numero di partecipanti superiore alle attese che ha portato nel cuore della Mostra del cinema oltre settemila persone, al grido di «Free Palestine».

Alla folla fatta anche di tanti bambini, si sono mescolati diversi attori e registi, decisi a esserci, ma senza voler rubare l’attenzione ai temi oggetto del corteo. Dal piazzale di Santa Maria Elisabetta, approdo dei vaporetti al Lido, lungo il Gran Viale e il Lungomare fino a sfiorare le aree del Festival, per poi ritornare al punto di partenza, il corteo è stato seguito a vista da 150 agenti e da un elicottero.

«Abbiamo portato nel cuore della Mostra del cinema migliaia di manifestanti per lo stop alle violenze contro il popolo palestinese, numeri incredibili per queste zone», dicono i promotori. «L’obiettivo di far sentire la nostra voce è stato raggiunto. Chiediamo alla Biennale di essere coerente, in vista della prossima Mostra d’Arte. Non si tratta di silenziare singoli artisti, ma di non dare spazio a un Paese che commette crimini internazionali. A Venezia non sarà tutto come prima».

 

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