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Con Portobello di Bellocchio a Venezia rivive la vicenda di Enzo Tortora

Walter Colombo, inviato a Venezia

MOSTRA DEL CINEMA – Grazie a Marco Bellocchio, sbarca al Lido uno dei più clamorosi errori giudiziari italiani, è impossibile, infatti, dimenticare quel 17 giugno 1983, quando l’arresto di uno dei conduttori più amati del piccolo schermo scosse l’Italia abituata a vederlo ogni settimana in un programma di culto come Portobello, capace di raccogliere in prima serata 28 milioni di spettatori, tutti in attesa del concorrente che riuscirà a far parlare il pappagallo, ospite d’onore della trasmissione.

Pertini lo nomina commendatore della Repubblica. Tortora è il re della televisione degli anni Ottanta e il suo programma racconta e conforta il Paese. In quegli stessi anni il terremoto dell’Irpinia dà l’ultima scossa agli equilibri, già fragili, della Nuova camorra organizzata. Le pagine dei giornali erano cariche di foto con Enzo Tortora in manette, portato in carcere con un’accusa pesantissima, mossa da un pentito di camorra, Giovanni Pandico, uomo di fiducia del boss Raffaele Cutolo e spettatore assiduo di Portobello dalla sua cella.

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Quando i Carabinieri bussano alla porta della sua stanza d’albergo, Tortora pensa a un errore, ma è solo l’inizio di un’odissea che lo trascinerà dalla vetta al baratro. Un clamoroso errore giudiziario che segnerà per sempre la vita di Tortora, che riuscirà a tornare in tv, ma non sarà in grado di sopravvivere a lungo, piegato da una malattia che aveva scavato troppo profondamente un animo innocente, eppure già condannato dagli organi di stampa.

Dopo Esterno notte sul caso Moro, Marco Bellocchio, con la sua pellicola fuori concorso, torna a raccontare eventi cruciali della cronaca del nostro Paese, e stavolta indaga sì la vicenda giudiziaria che portò all’arresto e al successivo proscioglimento del conduttore, interpretato da Fabrizio Gifuni, ma soprattutto come l’intera vicenda venne raccontata dai media, capaci di trasformare il re del piccolo schermo in un camorrista, dedito al traffico di droga.

Nonostante l’assenza di riscontri oggettivi, il conduttore fu condannato in primo grado a dieci anni di reclusione, ma fu assolto con formula piena in appello, con sentenza confermata dalla Cassazione. Una vicenda che suscitò un vasto dibattito sull’uso improprio delle dichiarazioni dei pentiti e contribuì all’introduzione della legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Perfetta l’interpretazione di Fabrizio Gifuni, già a Venezia l’anno scorso per il film Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, nel quale interpreta proprio il padre della regista e molto acclamato dal pubblico, ma quest’anno la decisione di interpretare Enzo Tortora è stata più difficile, come spiega l’attore stesso in un’intervista:

«È la quarta volta negli ultimi dieci anni che ho la fortuna e l’opportunità di lavorare con Marco Bellocchio: quella di Enzo Tortora è una storia complessa e ci voleva un grandissimo regista come lui per poterla raccontare. È stato un viaggio non facile da affrontare. È una fra le pagine più drammatiche della storia italiana, un racconto giudiziario inquietante ancora oggi difficile da decifrare in tutti i suoi risvolti».

Alla domanda cosa prova pensando all’edizione dello scorso anno del Festival sul tappeto rosso, risponde: «Un’emozione viva e intensa, è stata un’edizione speciale che conservo nel cuore pur essendo fuori concorso, il film ebbe un’accoglienza talmente calorosa che fu quasi più bello che gareggiare per il Leone d’oro. Un successo che ha regalato al film anche una lunga vita nelle sale. Oggi, con Portobello, la scommessa è duplice: usare i tempi della serialità per scavare in un personaggio molto noto e amato senza perdere di vista la densità del cinema». Sì perché alla Mostra del cinema sono stati presentati solo i primi due episodi della serie di Bellocchio che uscirà interamente nel 2026 sulla nuova piattaforma streaming Hbo Max. ma l’assaggio di ciò che è stato proiettato in sala ha comunque già conquistato il pubblico.

In concorso c’e la macchina distruttrice Mark Kerr

Il regista Benny Safdie porta a Venezia l’attesissimo film in concorso The Smashing Machine, ma non solo la pellicola ma anche l’attore più pagato di Hollywood Dwayne Johnson, per la prima volta sul red carpet alla Mostra del cinema, interprete del lottatore Mark Kerr, leggenda delle arti marziali miste e dell’Ultimate fighting championship. Il film racconta la storia vera di Mark Kerr considerato da tutti la Macchina Distruttrice.

Con Portobello di Bellocchio a Venezia rivive la vicenda di Enzo Tortora 1

La sua forza si manifestava anche fuori dal ring, perché aveva una capacità unica di esprimere le emozioni. Una persona bella e complessa che, come chiunque altro, affronta gli alti e bassi della vita. Spesso diamo per scontato che la statura fisica o le capacità atletiche equivalgano a forza emotiva. Ma solo perché uno sembra l’uomo più forte del pianeta non significa che sia invincibile.

«I nostri eroi sanguinano come tutti gli altri. Quando esci dal ring il mondo è lì che ti aspetta e sei costretto ad affrontare quello da cui stavi cercando di fuggire», dichiara il regista, che ha l’intento di lasciare negli spettatori un ricordo indelebile di questo film. E per raccontare la storia di uno dei più grandi campioni di Mma, arti marziali miste, dal 1997 al 2009, anche se non è un film celebrativo rose e fiori, bensì un dramma che esplora la vita privata di un campione che il pubblico percepisce come un guerriero imbattibile e non sa che invece ha le sue stesse paure e debolezze, la scelta di Dwayne Johnson era quasi scontata: una montagna di muscoli parlante (1,96 cm per 115 chili), soprannominata The Rock, la roccia, 53 anni.

In un’intervista racconta: «Da quando vent’anni fa ho smesso di malmenare i colleghi su un ring di wrestling, limitandomi a farlo solo sui set cinematografici, preferisco farmi chiamare come c’è scritto sul mio biglietto da visita di Ceo della casa di produzione Seven bucks companies, cioè Dwayne Johnson». Per l’attore protagonista è l’esordio drammatico che stava aspettando col fatto poi che prima di essere attore anche lui ha vissuto veramente le stesse gioie e delusioni del ring del wrestler, diventando anzitutto nel mondo famoso per questo. Il film uscirà nelle sale il 19 novembre e magari potrebbe anche concorrere per l’Oscar.

Una storia vera

Gus Van Sant col suo film fuori concorso Dead Man’s Wire, porta alla Mostra del cinema una vera storia di cronaca, ricostruita con cura, incentrata sulle azioni disperate di un uomo, Tony Kiritsis che nel 1977, sentendosi tradito dalla banca che gestiva il suo mutuo e convinto che lo stessero sfruttando nel momento in cui era più vulnerabile, prese misure drastiche nel tentativo di riprendersi il controllo.

Con Portobello di Bellocchio a Venezia rivive la vicenda di Enzo Tortora

La mattina dell’8 febbraio 1977, Anthony G. “Tony” Kiritsis, quarantaquattro anni, entrò nell’ufficio di Richard O. Hall, presidente della Meridian mortgage company, e lo prese in ostaggio con un fucile a canne mozze calibro 12 collegato con un “dead man’s wire”, un cavo teso dal grilletto al collo di Hall. Tony chiese cinque milioni di dollari, di non essere né accusato né processato, e delle scuse personali da parte degli Hall per averlo truffato di ciò che gli era dovuto.

Un lavoro che ha messo in discussione anche il regista stesso che ha dichiarato: «Questo progetto ha avuto un percorso tortuoso per arrivare alla conclusione. Abbiamo cominciato a girare il film nel novembre del 2024, e in breve tempo, a mano a mano che il mondo intorno a noi cambiava, abbiamo notato parallelismi inquietanti tra la nostra storia e gli eventi globali in corso. Ciò ha reso il progetto allo stesso tempo attuale e scomodo. Spero che il film non causi troppa angoscia, sebbene riconosca che stiamo vivendo tempi molto difficili, e forse un certo disagio è inevitabile».

Il regista americano è un autore unico nel panorama del cinema contemporaneo, capace di coniugare uno sguardo profondamente indipendente con una sorprendente capacità di dialogo con il pubblico. Il suo cinema si muove liberamente tra il sistema hollywoodiano e i circuiti del cinema d’autore, partecipando alle regole dell’industria senza mai esserne vincolato, sempre fedele a una visione personale, audace e in continua evoluzione, in grado di raccontare temi sociali e di attualità importanti con grande sensibilità e realismo, uniti a una forte e sincera passione.

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