ECONOMIA – La moda italiana attraversa una fase di profonda difficoltà. I dati diffusi dall’Ufficio Studi di Confartigianato delineano un quadro preoccupante: nei primi otto mesi del 2025 la produzione nel settore tessile, abbigliamento e pelli è scesa del 6,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, oltre cinque punti in più rispetto alla media della manifattura nazionale (-1,4%). Anche il mese di agosto conferma la tendenza negativa, con un calo dell’1,9% su base annua.
Il punto sulla congiuntura è stato presentato a margine dell’incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), alla presenza di Moreno Vignolini, presidente della Federazione Moda di Confartigianato Imprese.
Le esportazioni di prodotti del comparto registrano una diminuzione del 3,4% nei primi otto mesi del 2025 (–7,6% ad agosto), mentre l’import cresce del 3,4%, trainato dall’aumento dell’8,2% dai Paesi extra UE e da un +11,8% delle importazioni dalla Cina, che copre oltre un terzo del totale.
«Il prezzo sociale della crisi è alto – commenta Daniela Biolatto, presidente dell’Area Moda di Confartigianato Imprese Cuneo –. Nel secondo trimestre del 2025 si sono registrate 1.035 cessazioni di imprese del tessile, abbigliamento e pelli, di cui 843 artigiane: undici chiusure al giorno, nove delle quali artigiane. Anche nella nostra provincia stiamo perdendo i laboratori che custodivano la competenza e la qualità del “ben fatto” italiano. Oggi lo stile e l’eleganza del made in Italy vengono sacrificati sull’altare del low cost».
Al calo ciclico si aggiungono fattori strutturali: come evidenzia un’analisi della Banca d’Italia, dopo due anni di inflazione elevata i consumatori sono più attenti ai prezzi e alla sostenibilità, riducendo la spesa per la moda. La transizione green e la crescente incertezza economica spingono verso il risparmio e la circolarità dei beni.
Le tensioni internazionali e i dazi statunitensi frenano l’export, mentre la concorrenza asiatica si rafforza. I prodotti italiani, di alta gamma, non riescono a sostituire la produzione cinese sul mercato americano, più orientato a beni sostituibili e a basso costo.
L’Italia resta comunque leader europeo con 461 mila addetti nel settore moda, pari al 27% del totale UE, davanti a Portogallo, Polonia, Romania e Germania. Ma la presidente Biolatto mette in guardia: «La produzione tessile non è automatizzata: dietro ogni capo ci sono mani che cuciono e rifiniscono. Se un vestito viene venduto a cifre irrisorie, come si può pensare che non ci sia a monte uno sfruttamento vergognoso della manodopera?».
Redazione
