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Restituire un nome, l’identità resa a chi non ha voce [video]

La professoressa Cristina Cattaneo ospite di Profondo Umano ha commosso il pubblico con una riflessione sul diritto all’identità.

Restituire un nome, l’identità resa a chi non ha voce

ALBA Ieri sera, nella Biblioteca del Liceo Scientifico “Leonardo Cocito”, si è svolto l’incontro Restituire un nome. Riflessioni sul diritto all’identità con la professoressa e antropologa forense Cristina Cattaneo, tra le voci più autorevoli della medicina legale italiana. L’appuntamento, inserito nel programma del festival Profondo Umano, ha portato al centro della serata il tema della dignità delle persone senza nome: i migranti morti nel Mediterraneo, le vittime dimenticate delle guerre e delle tragedie collettive, tutti coloro ai quali è stato negato perfino il diritto di essere ricordati.

Nel suo intervento, Cattaneo ha spiegato che il destino dei corpi dei migranti è spesso diverso da quello delle vittime europee. Quando una persona muore in Italia e ha familiari che possono occuparsi delle spese, il corpo viene restituito e sepolto. Per i migranti, invece, accade di rado: il rimpatrio delle salme non è coperto dallo Stato e le famiglie, quasi sempre povere, non hanno i mezzi per riportarli nei Paesi d’origine. Molti corpi identificati restano così nei cimiteri del Sud Europa, in tombe numerate con un codice che corrisponde ai campioni prelevati per l’identificazione. Altri, mai riconosciuti, riposano sotto lapidi dove è scritto solo “naufragio” e la data della morte, a volte accompagnata da un dettaglio minimo come “maschio di circa vent’anni”.

«Sono i morti di serie B per eccellenza – ha detto la professoressa – perché la loro identificazione sarebbe possibile e poco costosa, ma non viene fatta. Una volta sepolti, restano quasi senza alcuna possibilità di essere riconosciuti». Cattaneo ha raccontato anche di come, ogni anno, alcune famiglie si rechino a Lampedusa per cercare la tomba dei propri cari, sperando di ritrovare almeno un nome inciso su una lapide.

Dirige il LABANOF, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano, dove un gruppo di ricercatori lavora da anni per dare un nome alle vittime dei naufragi nel Mediterraneo e alle persone scomparse in situazioni di conflitto o calamità. Un lavoro che unisce scienza e umanità, ricostruendo storie attraverso ossa, oggetti e ricordi, per restituire ai familiari non solo una risposta ma un frammento di memoria.

L’incontro si è concluso tra silenzio e applausi, segno di un’emozione condivisa: la consapevolezza che dietro ogni corpo ritrovato c’è una vita da ricordare, e che restituire un nome significa restituire dignità a chi non ha più voce.

Le immagini della serata:

L’intervista a Cristina Cattaneo:

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