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Unione europea: pace in pericolo, difesa comune lontana

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

Franco Chittolina per Agenzia giornali diocesani

POLITICA INTERNAZIONALE – Il mondo continua a registrare decine di conflitti bellici, su uno drammatico come quello israelo-palestinese si sta appena affacciando una fragile tregua, in Ucraina l’aggressione della Russia aumenta in intensità e la pace è ancora lontana.

In questo quadro tutto si può dire salvo che l’Unione europea, che ha beneficiato di una tregua di ottant’anni, si possa considerare un’isola felice, minacciata a sua volta e priva di una politica comune di difesa. Perse l’occasione di darsene una con la Comunità europea della difesa (Ced) nel 1954, quando sarebbe stata più praticabile tra i sei Paesi fondatori dell’Ue, oggi a ventisette in un mondo fuori controllo è tutto più difficile.

Non è un motivo per non provarci, in particolare dopo il risveglio doloroso di quasi tre anni fa, con l’invasione dell’Ucraina, e oggi alle prese con provocazioni ripetute nei Paesi orientali dell’Ue, con una Nato, a guida Trump, incerta sul da farsi, e le ventisette difese nazionali inadeguate per rispondere a rischi che in molti prospettano attorno al 2030, anno che la Germania si è data come scadenza per dotarsi del “più forte esercito in Europa”.

Così quel 2030 diventa la data-perno per provare a fare svoltare l’Unione europea verso una sua autonomia strategica, ancora in seno all’Alleanza atlantica nei limiti del possibile, ma senza rinviare la sua sicurezza a quel 2035, anno entro il quale i Paesi alleati nella Nato si sono impegnati ad alzare la loro spesa militare nazionale al 5% del prodotto interno lordo.

La Commissione europea presieduta, da Ursula von der Leyen, cui compete proporre iniziative per le politiche di integrazione ma non la relativa decisione né la loro gestione in materia di difesa, competenza rigorosamente nazionale, ha messo sul tavolo un’agenda di lavoro dal titolo Preparati per il 2030, prevedendo una spesa di 800 miliardi di euro, 150 dei quali ricavati da un debito comune europeo (l’Italia ne ha chiesti 14,9) e 650 miliardi da estrarre dai bilanci nazionali, se necessario in deroga al Patto di stabilità, operazione molto difficile per l’Italia, molto meno per la Germania.

Giovedì 16 ottobre la Commissione europea ha messo nero su bianco la tabella di marcia verso il 2030, uno schema di Piano strategico per costruire una difesa europea, entro il decennio autonoma e coordinata. È un documento complesso, difficile da sintetizzare in poche righe e ancora provvisorio: se ne capirà di più quando il 23 ottobre il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo si riunirà a Bruxelles per prendere le prime decisioni in merito, salvo che decidano ancora una volta di non decidere, come avviene da tempo in materia di difesa.

I nodi da sciogliere sono molti e complicati. Si va dalle dimensioni delle dotazioni finanziarie necessarie, in costante crescita, alle responsabilità della gestione del programma di rafforzamento militare, in carico ai governi nazionali, fino alle scelte industriali e tecnologiche e relative alleanze politiche tra Paesi Ue, senza dimenticare le difficoltà di coordinamento con la Nato (tra l’altro quattro Paesi Ue non ne fanno parte) e, soprattutto, l’assenza di una politica estera comune, indispensabile per orientare una politica comune della difesa.

«Non è domani la vigilia», direbbero i francesi, oppure, come De Gaulle: «vaste programme», con riferimento alle ambizioni per una strategia comune, vista anche la crisi politica interna che riverbera anche sulla capacità di Emmanuel Macron di esercitare il ruolo europeo a cui si era candidato, ma oggi fuori della sua portata.

Per non semplificare nulla, la strada in salita dell’Ue verso il 2030 incrocia anche i contrasti annunciati per la formazione del bilancio comunitario 2028-2034, con un capitolo già oggi bollente, come quello della futura politica agricola comune.

Una complessità che è meglio non sottovalutare.

 

 

 

Franco Chittolina

 

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