di Franco Chittolina per Agenzia giornali diocesani
POLITICA INTERNAZIONALE – Inutile adesso scandalizzarsi o stupirsi: era chiaro almeno fino dalla “storica pace” imposta in Medio oriente da Donald Trump che un’altra “storica pace” in Ucraina sarebbe stata una fotocopia della prima: calpestando il diritto internazionale e senza dialogo tra i popoli coinvolti nel conflitto, con “soluzioni” imposte da due “candidati imperatori” in perdita di ruolo, rispetto a quello cinese in crescita, entrambi senza rispetto per le sovranità nazionali.
A ottant’anni dalla conferenza di Yalta, quando Usa, Unione Sovietica e Regno Unito ridisegnarono la carta del Mondo, due pallidi epigoni di Delano Roosvelt e Josip Stalin, come Donald Trump e Vladimir Putin, con la sedia vuota dell’Europa, si apprestano a modificare confini e regole allora pattuite per garantire una pace, già allora fragile, adesso ulteriormente messa in pericolo in questo mondo fuori controllo e imbottito di armi nucleari un po’ ovunque.
Non sarà purtroppo quella proposta ad oggi una pace “storica”, né giusta né duratura, tanto per l’Ucraina che per l’Europa e nemmeno per il resto del mondo, ma una “svolta storica” lo sarà certamente per una civiltà del diritto e delle regole costruita nei secoli e consolidata con fatica e decenni di cultura del dialogo dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale.
Nuove istituzioni internazionali
Nacquero allora nuove istituzioni internazionali, come nel 1945 l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) e, nel 1949, il Consiglio d’Europa e la stessa Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord (Nato) e, nel 1951, la nostra prima Comunità europea. Erano pilastri destinati a sorreggere l’architettura di un mondo che si andava ricostruendo e che tornò a prosperare, anche se non ovunque, lasciando nel tempo crescere ampie sacche di povertà con diseguaglianze diventate oggi insopportabili e pronte ad esplodere.
Oggi questo mondo, ridiventato fragile, sembra non poter più contare su quei pilastri e su regole condivise: l’Onu è diventata una voce inascoltata dai nuovi “predatori”, che si chiamino Trump, Netanyhau o Putin; il Consiglio d’Europa predica come può nel tentativo generoso di difendere diritti umani largamente calpestati; la stessa Nato, a guida Usa, ha perso credibilità e ruolo e non stupisce, in questo quadro, che anche l’Unione europea abbia difficoltà a orientarsi, presa in tenaglia tra partner divisi e alleati inaffidabili.
In particolare questa Unione, a metà strada tra la sua vocazione federale e le resistenze intergovernative, rischia di diventare in questo mondo braccata da predatori che alle regole hanno sostituito la forza delle armi e degli interessi finanziari, scivolando su una traiettoria discendente nell’esercizio dello Stato di diritto, cedendo progressivamente sulla sua vocazione regolatrice che della sua costruzione europea è la chiave di volta.
Lo sta già facendo con il “cavallo di Troia” della “semplificazione”, quella delle sue complesse procedure burocratiche, che si tratti della sostenibilità sociale, di quella climatica e di quella orientata a difendere i diritti dei cittadini dalla invasività delle piattaforme digitali che non conoscono confini né regole.
Certo, della proposta di pace dei due “soci in affari”, Trump e Putin, la prima vittima sarà l’Ucraina, la sua sovranità e quello che le resta di fiducia nel diritto internazionale, futuri ingredienti di nuove conflittualità, ancor più se Kiev non sarà tra i protagonisti della trattativa.

Ma un’altra vittima seguirà a ruota, l’Unione europea, se non farà valere le ragioni di un soggetto ancora forte economicamente che si è speso compatto (Orban e Salvini a parte, per quel che contano) a sostegno di un Paese aggredito, prima aprendo le porte ad oltre quattro milioni di profughi, poi pagando il prezzo delle sanzioni alla Russia e destinando quasi 200 miliardi di euro a un popolo che lotta anche per noi.
I giorni che verranno ci diranno se questa Unione ha ancora un’anima, resistendo alla prepotenza dei due “soci in affari” e giocando tutte le sue carte per salvare la sua dignità, anche a costo di prendere le distanze dal suo ex-alleato americano, sempre più complice di Putin.
Perché una resa dell’Ucraina annuncerebbe anche una sconfitta dell’Unione Europea, straordinario progetto incompiuto di “democrazia tra le nazioni”, con la rinuncia a un pezzo importante della nostra civiltà costruita sul rispetto di regole condivise, rendendo ancora più fragile e fuori controllo il mondo di domani.
