di Pierangelo Vacchetto
CULTURA – Alla Fondazione Mirafiore si è svolto oggi un incontro intenso e vibrante che ha visto protagonisti Luca Saudino, professore e divulgatore, ed Edoardo Prati, attore e autore, dove gli ospiti sono stati visibilmente coinvolti da un dialogo che ha saputo intrecciare filosofia, letteratura e attualità. A moderare il dialogo è stata Paola Farinetti, che con equilibrio e sensibilità ha guidato il pubblico attraverso un confronto serrato intorno a parole che non appartengono solo alla storia, ma al modo in cui viviamo il presente: guerra e pace, resistenza e partecipazione, Italia e mondo.
In apertura, Farinetti ha richiamato l’importanza della memoria come gesto attivo: «La mia generazione si è un po’ disabituata a collegare ciò che vede a una memoria profonda. Assistiamo, ma non tratteniamo. Eppure la letteratura nasce dalla vita: se c’è letteratura, vuol dire che la vita continua a muoverci».
Saudino e Prati hanno preso sul serio il potere delle parole. Non le hanno spiegate: le hanno attraversate. Luca Saudinooffre una lettura filosofica della parola guerra. «La guerra è anche crescita. Quando una coscienza entra nel mondo e fa esperienza, entra inevitabilmente in conflitto: con la realtà, con altre coscienze. Sono momenti di dolore, ma fondamentali». Poi distingue una seconda forma di guerra: «Esiste anche la guerra come annientamento, quando una coscienza non riconosce negli altri pari dignità e li vuole eliminare».
Alla guerra contrappone un’idea alta di pace: «La pace è vivere nel rispetto, è stare bene con gli altri. È il terreno su cui possiamo fiorire. Non è un punto di partenza, ma un punto d’arrivo, un orizzonte verso cui camminare ogni giorno».
Edoardo Prati porta invece una testimonianza personale, legata alla memoria familiare: «Mio nonno è nato a Milano e ha vissuto la guerra correndo da un punto all’altro della città per salvare sua sorella. Per lui era chiaro che la guerra non può essere uno strumento per ottenere qualcosa».
Per questo, guardare il presente lo inquieta: «Mi spaventa vedere che oggi si torna a giustificarla. È come rimettere sul tavolo qualcosa che chi ha vissuto la guerra sapeva essere impossibile». Per Prati, tra guerra e pace esiste un terzo elemento: «Tra guerra e pace io metterei amore. Se l’amore riesce a tenere occupata la guerra, se Venere riesce a tenere impegnato Marte, allora l’amore diventa un’arma sociale, politica e civile».
Dal piano personale si è passati a quello collettivo: l’Italia e il suo rapporto con il futuro. Saudino denuncia un deficit di dialogo e di visione comune: «In Italia manca la capacità di parlarsi, e questo nonostante le differenze ideologiche non siano più così radicali. Senza una visione condivisa del futuro come casa comune, andiamo verso il suicidio del genere umano».
Prati aggiunge una provocazione sulla bellezza del nostro Paese: «La bellezza dell’Italia può essere pericolosa. Viviamo come se qualunque cosa accada avremo sempre il Colosseo, sempre qualcosa di meraviglioso da mostrare. Ma non moriremo per mancanza di bellezza: moriremo per indolenza, per non essere stati abbastanza attenti».
Saudino introduce un secondo livello di riflessione, attingendo alla filosofia antica: «Platone racconta il mito di Prometeo, che ruba il fuoco agli dei e lo dona agli uomini: è la tecnica, ciò che ci permette di sopravvivere. Ma gli uomini usano la tecnica per costruire armi. Allora Zeus dona loro un’altra cosa: la politica».
Un passaggio che chiarisce il suo pensiero: la tecnica senza etica diventa distruzione; la politica, se vissuta come comunità, è ciò che ci salva.
A questa visione filosofica Prati risponde attraversando la letteratura: «Io non credo si possa fare a meno della comunità perché ho letto Il Decameron. Firenze è devastata dalla peste. Sette ragazze e tre ragazzi fuggono in campagna e per stare uniti si siedono in cerchio: nessuno è più importante dell’altro, tutti si guardano negli occhi. E iniziano a raccontare storie. È lì che il racconto diventa civile, sociale, politico».
Due prospettive diverse, Saudino tra Platone e Aristotele, Prati tra i miti greci e il Decameron, ma una stessa direzione: la parola come strumento di costruzione.
La serata si è conclusa con un brano tratto dal dramma Prima del silenzio di Giuseppe Patroni Griffi, un passaggio intenso, regalatoci da Edoardo Prati, che ha sigillato il senso dell’incontro: la comunicazione e la conoscenza sono ciò che ci permette di resistere non solo ai disastri della storia, ma al naufragio del linguaggio e della capacità di comprensione reciproca.
L’incontro di Mirafiore ha ricordato a tutti che le parole non sono solo strumenti per descrivere il mondo: sono strumenti per cambiarlo, una serata da ripetere perché, come è emerso da ogni intervento, non si cresce senza memoria, non si costruisce pace senza dialogo e non esiste futuro senza comunità, che le parole possono ancora essere resistenza, che la memoria è un atto di libertà, e che la pace comincia quando smettiamo di annientare la voce dell’altro.
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