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Casa circondariale o di reclusione: quale futuro per il carcere Montalto di Alba

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DOSSIER «Se i lavori alla casa di reclusione Giuseppe Montalto di Alba finiranno nei primi sei mesi dell’anno appena iniziato o no poco cambia. Quello che è certo è che dovrà essere fatto, possibilmente entro il termine dei lavori, un piano chiaro su quale tipo di detenuti andrà a occupare la struttura», ripete il garante regionale dei detenuti Bruno Mellano.

Un’urgenza che, insieme alla garante albese Paola Ferlauto, aveva già portato all’attenzione del sindaco Alberto Gatto a novembre e che ha ripetuto tra le pagine del nono dossier delle criticità strutturali e logistiche delle carceri piemontesi presentato a fine dicembre a palazzo Lascaris (Torino).

«La priorità è quella di definire sin da subito la popolazione ristretta e la tipologia di istituto che si vorrà attuare nella struttura albese nel momento della “prossima” riapertura: casa circondariale o casa di reclusione? A custodia attenuata o in media sicurezza? Con una forte vocazione trattamentale o con attenzione alla sicurezza?», scrive il garante regionale nel dossier.

La struttura albese, costruita negli anni ‘80, è stata chiusa nel 2016 per permettere interventi sulle tubature idrosanitarie e sugli impianti termici in seguito a un’epidemia di legionellosi. Nel giugno del 2017 è stata parzialmente riaperta con l’utilizzo di due palazzine e dal 2021 la principale è stata destinata a casa lavoro per internati.

Ora i lavori, avviati 9 anni fa, potrebbero subire ulteriori rallentamenti. Agli interventi preventivati, infatti, ne sarebbero emersi di nuovi. Si legge nel dossier: «Con l’insediamento del nuovo provveditore dell’Amministrazione penitenziaria di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Mario Antonio Galati, si è avuta notizia di un’ulteriore esigenza di interventi integrativi e correzione delle procedure di appalto, ma è stato assicurato che ciò “non avrebbe dilazionato i termini dei lavori”».

Tutto tace sul destino del carcere albese
Il carcere Montalto di Alba

Oggi il Montalto è ancora chiuso, di quei 138 posti, dichiarati come capienza massima sul sito del Ministero, 89 non sono disponibili dal dicembre del 2016 e, al 30 novembre del 2024, le presenze erano 42. Tuttora al Montalto sono attive due palazzine a sé stanti, in una “vivono” gli internati della casa lavoro e nell’altra i lavoratori semiliberi (ex articolo 21) che scontano gli ultimi anni di reclusione in semilibertà.

In questa situazione il dossier sottolinea che le criticità strutturali derivano principalmente dalla carenza di spazio. «I locali detentivi, le aule e gli spazi trattamentali e l’ufficio comando sono concentrati in spazi ridotti».

La riapertura a pieno regime del Montalto potrebbe dare fiato alle altre strutture piemontesi che denunciano da tempo situazioni di sovraffollamento e di sofferenza che spesso sfociano in rivolte e aggressioni. I dati parlano chiaro, in Piemonte, a fronte di una capienza regolare pari a 3.979 posti, i detenuti sono 4.500, di questi 161 sono donne e 1.934 stranieri.

In una situazione già in equilibrio precario, «non possiamo pensare di improvvisare e di decidere quando i lavori saranno ultimati come è avvenuto al Cerialdo di Cuneo», commenta Mellano.

«Con una corretta pianificazione il Montalto di Alba potrebbe diventare se non un modello, un carcere perfettamente funzionante come lo era prima della chiusura. Alba è una città sensibile, il territorio ha risorse significative e ci sono grandi potenzialità. Il sindaco Gatto dovrebbe avere interesse a riaprire la struttura e a vederla lavorare a pieno regime, ma serve vigilare. Noi garanti facciamo pressione affinché anche la politica si muova verso scelte responsabili».

Non sembra essere nemmeno un problema di costi, il Pnc, piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr per la giustizia aveva previsto 132,90 milioni di euro suddivisi tra nuove costruzioni e adeguamenti. Il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero di giustizia ha a disposizione un fondo complessivo di circa 250 milioni di euro da spendere per l’edilizia penitenziaria, adeguando le strutture esistenti o costruendone di nuove oppure realizzando nuovi interventi differenziati nell’ambito delle caserme dismesse. «Rispetto ad altri investimenti, sono tanti soldi», commenta Mellano.

Elisa Rossanino

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