REFERENDUM Il quinto quesito riguarda il tema della cittadinanza, proponendo di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza sul territorio necessari per presentare la domanda. Ne parliamo con Stefano Montaldo, originario di Alba e professore associato di diritto dell’Unione europea all’Università di Torino.
Montaldo, quanto è importante il quesito del referendum di inizio giugno sul tema della cittadinanza?
«Indipendentemente da come la si pensi, ha un’importanza cruciale. La condizione di cittadino riguarda l’apice del legame tra una persona e lo Stato in cui vive e porta con sé diritti e doveri che nessun’altra condizione giuridica a oggi può eguagliare. Il referendum riguarda solo uno dei modi di acquisizione della cittadinanza italiana da parte degli stranieri, ossia la residenza legale e stabile (un’altra è, per esempio, il matrimonio). Ci viene chiesto di scegliere che modello di società vogliamo. I criteri sottendono dinamiche di esclusione e inclusione. Il quesito potrebbe essere letto anche così: sono d’accordo con il fatto che una persona che vive in Italia da 5 anni legalmente, che lavora, ha risorse sufficienti a mantenere sé e il proprio nucleo familiare e contribuisce alla
società abbia i miei stessi diritti e doveri? E che ciò si estenda ai suoi figli?».

Oggi qual è l’iter che una persona deve affrontare per avere la cittadinanza?
«L’attribuzione della cittadinanza per residenza prevede che, dopo 10 anni, venga fatta una richiesta on-line. L’iter si divide in una fase istruttoria, gestita dalle Prefetture, e in una fase deliberativa. Il richiedente può tracciare on-line lo status della sua domanda, anche allo scopo di colmare eventuali mancanze documentali. Il percorso è lungo e articolato sia per la mole di documenti richiesti, sia per il numero di domande e per i controlli dettagliati che ciascuna di esse richiede. La normativa vigente prevede un periodo massimo di due anni, che però può essere prorogato di un anno ulteriore per difficoltà istruttorie, non così inusuali».
Ha altre considerazioni sull’importanza per la comunità?
«Il referendum smuove acque ormai stagnanti su un tema da tempo al centro del dibattito. Vorrei evidenziare che il punto non è regalare la cittadinanza, ma formulare un’analisi serena della società di oggi, molto cambiata rispetto all’epoca in cui i fondamenti giuridici di questo argomento sono stati dettati. Nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle molte forme di aggregazione della società civile, viviamo un contesto sociale sempre più multiculturale. Comunque la si pensi e qualunque sia l’esito del referendum, credo che ognuno debba cogliere l’occasione per avviare una riflessione personale e collettiva sulla trasformazione in atto e sulle istanze di vera uguaglianza che essa porta con sé. In termini di diritti, ma ovviamente anche di doveri».
QUI il riassunto dei cinque quesiti
Marta Andolfi
