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Ecco perché il Vangelo non è lettera morta ma viva

PENSIERO PER DOMENICA – SOLENNITÀ DI PENTECOSTE – 8 GIUGNO

Nelle solennità liturgiche avviene come nei pranzi solenni: la mensa della Parola sovrabbonda e c’è l’imbarazzo della scelta. Il dono dello Spirito, al centro della festa, viene declinato in tre varianti successive: la promessa di Gesù (Gv 14,15-16.23-26), l’evento della Pentecoste (At 2,1-11) e l’azione dello Spirito nei credenti (Rm 8,8-17).

Ecco perché il Vangelo non è lettera morta ma viva
La discesa dello Spirito Santo, miniatura del XIV secolo, Padova Biblioteca capitolare della Curia.

Lo Spirito promesso di Gesù. Nel lungo discorso-testamento durante l’Ultima cena, per cinque volte, Gesù parla dello Spirito Santo. Il brano di Vangelo scelto indica due suoi tratti: sarà interprete perfetto della Parola di Gesù e continuazione della sua presenza tra noi: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Il patriarca Atenagora l’ha spiegato così: «Senza lo Spirito, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda, il culto uno spettacolo, la morale un agire da schiavi».

Lo Spirito donato. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, nella festa ebraica di Pentecoste, la promessa di Gesù si realizza. Luca descrive il misterioso evento usando i simboli veterotestamentari delle manifestazioni di Dio: il tuono, il vento, il fuoco. Aggiunge la glossolalia, cioè il parlare in lingue. Grazie a questo, l’evento viene in qualche modo compreso non solo dai giudei, ma da tutti i presenti. Lo Spirito è un dono per tutti: a qualcuno arriva direttamente dall’alto; agli altri arriva attraverso la Parola e l’annuncio. Questo Spirito che aiuta a “capire e capirsi” è il dono da invocare in questo momento problematico della vita delle nostre Chiese. In particolare è un dono da invocare per il Sinodo in corso: perché le nostre Chiese diventino nuovamente capaci di annunciare efficacemente il Vangelo in una società complessa, segnata dalla presenza di culture e nazionalità diverse.

Lo Spirito presente in noi. San Paolo ricorda ai Romani che lo Spirito vive in ogni battezzato, in forza della fede. In questo senso, lo Spirito diventa l’anima delle comunità e dà qualità alla nostra preghiera, facendola diventare un momento di intimità con Dio. È grazie allo Spirito che noi possiamo invocare Dio come “Abbà-Padre”, affidandoci a lui come un bambino nelle braccia di mamma e papà. Celebrando Pentecoste possiamo allora prendere coscienza della profondità del nostro legame con il Padre e riversare in Dio i nostri problemi. La fiducia di non essere da soli a camminare nella vita è fonte di serenità e premessa per andare lontano.

Lidia e Battista Galvagno

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