
di Elisa Rossanino
IN TRIBUNALE – Una sentenza che parla chiaro, quella arrivata nei giorni scorsi nelle aule del Tribunale di Asti dove un giovane classe 1991 residente nelle colline albesi ha ricevuto una condanna a tre anni e undici mesi di reclusione.
La sentenza di primo grado
Secondo la sentenza di primo grado letta dal giudice per le indagini preliminari Elio Sparacino, il giovane, entrato nel palazzo di giustizia astigiano con l’accusa di maltrattamenti nei confronti dell’ex compagna alla quale ora ha il divieto di avvicinarsi, è stato sottoposto all’allontanamento dalla casa familiare e dovrà inoltre pagare 25mila euro di risarcimento danni.
Il 34enne nato a Corato in provincia di Bari ma di origine marocchina, secondo l’accusa formulata dal pubblico ministero Davide Greco che ne aveva richiesto il rinvio a giudizio, sarebbe responsabile di maltrattamenti aggravati, lesioni aggravate e violenza sessuale nei confronti della convivente con l’aggravante di averli commessi alla presenza della figlia minore e nei confronti di una persona a cui era legato affettivamente.
Percosse, minacce e insulti dal 2016
Negli anni la donna avrebbe ricevuto percosse, minacce di morte, e sarebbe stata insultata dall’uomo che le avrebbe più volte vietato di uscire di casa per chiedere aiuto. Comportamenti che, come raccolto dalla Procura, non si sarebbero fermati nemmeno mentre la donna era incinta quando l’uomo le avrebbe lanciato addosso dell’acqua gelata.
In altre occasioni le avrebbe schiacciato la testa contro un termosifone e addirittura spento una sigaretta sulla guancia. Nell’autunno del 2016 non era mancato neppure un tentativo di strangolamento interrotto solo dall’arrivo dei genitori. Gli insulti, del tono “Non meriti nulla, perché non ti ammazzi”, erano all’ordine del giorno. Violenze quotidiane mai arrestate che, dopo l’allontanamento della donna dalla casa familiare, si erano trasformate in pedinamenti fin sul posto di lavoro, chiamate e messaggi insistenti.
Comportamenti che sarebbero iniziati nel 2016 e proseguiti costanti per gli anni successivi.
La donna è difesa dall’avvocata Silvia Calzolaro, mentre l’uomo d’ufficio dall’avvocato Francesco Moramarco con il quale aveva chiesto di poter accedere al giudizio abbreviato condizionato all’audizione di un teste identificato nella figura del padre.