
di Pierangelo Vacchetto
VERDUNO – C’è un silenzio diverso, quasi denso, quando parla Vittorino Andreoli. Non è quello imposto dal rispetto per un’autorità, ma quello che nasce quando una comunità intera si riconosce nelle parole che ascolta. Tra Bra e l’auditorium dell’Ospedale Michele e Pietro Ferrero di Verduno, lo psichiatra e scrittore ha incontrato cittadini, studenti e operatori sanitari per riflettere su un tema di straordinaria attualità: “Dall’io al noi nella cura”.
«Siamo nati fragili – ha ricordato – e restiamo tali per tutta la vita. La cura comincia quando accettiamo questa verità e riconosciamo la stessa fragilità negli altri. Non dobbiamo cercare chi è più forte, ma chi ha bisogno di te, perché ti fa scoprire e aiuti l’altro».
Un messaggio potente, che nell’epoca dell’individualismo e dell’ossessione per la performance suona come un richiamo all’essenziale: la cura non è mai un atto isolato, ma un gesto reciproco. «L’io isolato non guarisce mai – ha detto ancora Andreoli – solo nel noi l’essere umano trova pace e senso».
All’interno della Fondazione Ospedale Alba-Bra, le sue parole hanno trovato un’eco profonda. Per Andreoli, l’ospedale non è soltanto il luogo in cui si combatte la malattia, ma un luogo dell’anima, dove le relazioni e l’ascolto diventano parte integrante della guarigione. «Curare non significa soltanto guarire – ha spiegato – ma anche accompagnare, comprendere, condividere».
L’incontro si è inserito nella visione della Fondazione, che da anni promuove un’idea di salute capace di unire corpo, mente e comunità, aprendo l’ospedale alla cultura e al dialogo.
Lo psichiatra ha poi rivolto lo sguardo alla società contemporanea, segnata da quella che definisce la “patologia dell’io”: «Siamo egocentrici, malati di io. Tutti vogliono essere qualcuno, ma pochi vogliono essere con qualcuno. Abbiamo ridotto tutto a mi piace o non mi piace, e questo è diventato il principio etico e morale. Ma non c’è futuro senza desideri, che sono la proiezione per andare avanti».
La riflessione di Andreoli si è poi fatta più analitica, toccando i tre elementi fondamentali per comprendere la follia: il corpo, con la sua dimensione biologica; la personalità, che muta e si trasforma con l’esperienza; e l’ambiente sociale, che condiziona profondamente il modo di vivere e di soffrire. «In questa società siamo tutti frustrati – ha detto –. Per capire un malato di mente bisogna tener presenti questi tre punti».
Le sue parole, dense e umane, hanno attraversato la platea come un invito a riscoprire il valore del legame e della bellezza, quella che solo gli esseri umani sanno riconoscere nel mondo che li circonda.
La presenza di Vittorino Andreoli a Bra e a Verduno non è stata solo un appuntamento culturale, ma un momento di riconciliazione collettiva con il senso più profondo della cura. «Non si guarisce mai da soli – ha concluso –. Si guarisce sempre insieme. È tempo di sapere che siamo un punto importante, ma non l’unico, nel processo terapeutico».
Una lezione semplice e rivoluzionaria, che la Fondazione Ospedale Alba-Bra fa propria, promuovendo una cultura che mette la persona, e non la prestazione, al centro del prendersi cura.
