di Pierangelo Vacchetto
FONTANAFREDDA – È stata una serata di tennis, ironia e memoria quella che ha animato la fondazione Mirafiore, dove Adriano Panatta e il produttore cinematografico Domenico Procacci hanno presentato il libro La telefonata. A moderare l’incontro sono stati Paola e Oscar Farinetti, che hanno guidato il dialogo con ritmo e curiosità, stimolando ricordi, battute e confessioni da parte dei due ospiti come un incontro di tennis con una domanda a testa da una parte all’altra del tavolo. Assente fisicamente l’altro autore del libro, Paolo Bertolucci, che però ha voluto partecipare simbolicamente con una telefonata in diretta, proprio come nel titolo dell’opera.
Il pubblico ha accolto l’intervento con calore, trasformando quel momento in una sorta di secondo capitolo “dal vivo” del libro stesso. Panatta, fedele alla sua fama, ha intrattenuto la platea con aneddoti costellati da sarcasmo e leggerezza.
Alla domanda su cosa avrebbe potuto ottenere se si fosse allenato con maggiore impegno, ha risposto con una battuta destinata a restare nella memoria dei presenti: «Ma sarei stato più felice?» Una frase che riassume perfettamente la filosofia dell’ex campione: talento, passione e una sana distanza dalle ossessioni agonistiche.
Nel corso della serata ha affrontato, tra gli altri, un tema oggi molto discusso: la residenza fiscale degli sportivi. Ha raccontato come già negli anni della sua attività agonistica ci fossero tennisti che si trasferivano a Montecarlo per motivi fiscali. «Anche a me era stato proposto», ha spiegato, «ma io volevo vivere a Roma».
Panatta ha poi svelato, con la sua consueta ironia, uno dei “sistemi” utilizzati all’epoca per certificare la residenza nel Principato: i portieri degli stabili accendevano le luci la sera e facevano scorrere l’acqua, così da poter dimostrare che l’appartamento era realmente abitato. «Oggi queste cose non si possono più fare. Ci sono controlli diversi, molto più severi», ha commentato.
Parlando di Paolo Bertolucci, Panatta non ha lesinato scherzi facendolo diventare il bersaglio preferito dell’ironia dell’ex campione: «Era pigro. Poteva stare a letto un giorno intero», ha detto ridendo.
Il duo formò una delle coppie di doppio più amate e vincenti del tennis italiano e Panatta ha ricordato con affetto gli inizi, quando entrambi cercavano di trovare il proprio posto nel circuito internazionale. Ha raccontato episodi insoliti e divertenti: le partite di doppio con Margherita Buy, Nanni Moretti e Sandro Veronesi e le sfide con Vittorio Gassman, grande attore e, in campo, competitivo quanto sul palco: «Con Gassman non era mai solo un gioco. Doveva vincere, sempre».
Tra le sue influenze personali Panatta ha citato Paolo Villaggio, amico e maestro involontario di ironia riconoscendo come quell’umorismo graffiante lo abbia influenzato.
Il tennis di oggi
Guardando al tennis di oggi, Panatta ha elogiato Jannik Sinner, «una macchina da tennis perfetta» e la fantasia esplosiva di Carlos Alcaraz, definito «il tennista della sorpresa, del colpo che non ti aspetti». E guardando ai risultati attuali del tennis italiano, ha concluso con una previsione ottimista: «Siamo una squadra forte. Possiamo vincere la coppa Davis anche senza Sinner».
Accanto a Panatta, Domenco Procacci ha mostrato una passione autentica e viscerale per il tennis. Ha raccontato del podcast da cui è nato il libro La telefonata ed è autore della serie La squadra, dedicata al tennis italiano dell’epoca Panatta-Barazzutti. Con la stessa autoironia ell’ex campione, ha confessato: «Darei tutto, anche i miei affetti, per vincere Wimbledon».
E guardando al futuro, ha lanciato la sua personale sfida, quasi come un manifesto sul futuro: «Vorrei diventare un vero giocatore di tennis… almeno per vincere bene negli over 70».
Una serata che non è stata solo la presentazione di un libro, ma il racconto di una vita fatta di talento, amicizie, sfide e libertà. E con Panatta, quando si parla di tennis, il confine tra sport e spettacolo si assottiglia sempre, fino a scomparire.
L’incontro si è chiuso tra applausi e risate, con la sensazione di aver assistito non solo alla presentazione di un libro, ma a un viaggio dentro un pezzo di storia del tennis italiano, raccontato da chi quella storia l’ha vissuta in prima persona. Se il tennis è si sport ma amche trama di emozioni, amicizie e storie da raccontare, Panatta ancora una volta, dimostra di saperlo fare meglio di chiunque altro.







