Ultime notizie

25 NOVEMBRE / La storia: Mi ha annientata, ma sono rinata. Chiedete aiuto, non siamo sole

Perché, se si vuole parlare della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra oggi – 25 novembre –, è importante partire da qui. Dalla voce di chi tutto quel dolore lo ha vissuto sulla propria pelle

25 NOVEMBRE / La storia: Mi ha annientata, ma sono rinata. Chiedete aiuto, non siamo sole

di Maria Grazia Olivero

25 NOVEMBRE – Sembrava l’uomo dei sogni, ma si trasforma in un bruto. Forse, purtroppo, è una storia come tante, di amore sbagliato, dolore e violenza, quella che racconta Margherita. Ma il finale dispiega anche il riscatto che fa bene al cuore e insegna la solidarietà vincente. Perché, se si vuole parlare della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra oggi – 25 novembre –, è importante partire da qui. Dalla voce di chi tutto quel dolore lo ha vissuto sulla propria pelle.

L’inizio di una storia che sembrava perfetta

«Quel ragazzo, Roberto, mi pareva diverso, dolce, gentile, presente. Mi telefonava a ogni ora del giorno. S’interessava del mio lavoro, dei miei gusti, dei miei familiari. Mi pareva il fidanzato perfetto. Uscivamo per fare scorribande in auto, spese, andare al cinema, fare l’amore. Ne ero innamorata. Avevo vent’anni e una grande speranza: essere amata come nessuna mai», inizia a raccontare Margherita.

Il matrimonio e le parole che feriscono

«Ci sposammo dopo un anno, anche se ero giovane. Lui mi pareva perfetto: aveva dieci anni più di me e un fare protettivo che mi rendeva il cuore al sicuro. Il giorno del matrimonio fu radioso, pieno di allegria contagiosa, tra amici e parenti. Auguri! Io mi sentivo in alto, su una nuvola bianca avvolta di felicità. Lui era la spalla possente su cui poggiare la vita». Poi, però, qualcosa inizia a cambiare.  «Al ritorno dal viaggio di nozze, le parole cominciarono a prendere una piega amara. Senza ragione mi diceva: “sbadata”, “incosciente”, “spendacciona”, “non sai che cosa fai”, “non capisci nulla”… No, io non capivo affatto il mutamento. Cercavo di non sentire, di lasciare correre e farlo contento. Mi colpevolizzavo anche. Aveva qualche ragione. Non potevo lasciarmi sfuggire così la felicità. Intanto, il mio mondo si ritirava sempre di più».

L’isolamento totale e la maternità

Margherita si ritrova sempre più sola: «Per Roberto era inutile frequentare amici, conoscenti, parenti perfino. Le amiche erano tutte “invidiose e incapaci”, mia madre “una buona a nulla”, mio padre “uno stupido”. Entro l’anno ci trasferimmo in un’altra città. Persino il mio lavoro andò in fumo, quando scoprii di essere incinta. “Non è possibile occuparsi di tutto e del bambino, licenziati”, intimò mio marito. Accondiscesi, pensando che avrei potuto riprendere più tardi». «Quando nacque Andrea, un piccolo vivace e grassottello che mi faceva tenerezza, mi trovai in casa per tutta la giornata, senza un aiuto e ormai priva di amicizie e legami parentali. Non potevo nemmeno andare a fare la spesa. Pensava lui a tutto. Facevo la sguattera. Solo Andrea era un raggio di sole per me. Mi sentivo sempre più sola, senza il minimo slancio, incapace di capire quanto stava avvenendo, nonostante il mio bimbo mi sorridesse».

Le aggressioni verbali e fisiche

«Fu a quel punto che le parole si trasformarono in insulti più pesanti e poi in percosse. Avevo sbagliato a fare le pulizie, il tavolo da pranzo era preparato male, i vetri erano sporchi, la pasta scotta. Meritavo una lezione. Me ne sarei ricordata! Nemmeno reagivo alle botte. Stavo zitta, sperando che finissero».

Un abisso senza via di uscita

«Ero precipitata in una spirale dalla quale non riuscivo a emergere. Volevo solo che il piccolo Andrea non vedesse e non sentisse, che non si accorgesse che suo padre era diventato il mio aguzzino. Ogni sera, al suo ritorno, erano insulti, botte e violenze, anche sessuali. Strisciavo, non avevo più reazioni. Ero incapace anche di gridare il dolore».

La salvezza dalla porta accanto

«Mi ha salvato la mia vicina di casa. Aveva capito tutto, poco a poco, senza bisogno che io chiedessi aiuto. Per me, quasi senza conoscermi, era andata in un centro contro la violenza domestica a raccontare i suoi dubbi. Ne sono uscita con il corpo e lo spirito ammaccati, grazie a persone meravigliose, che mi sono state accanto. Ora vivo del mio lavoro con Andrea e sono serena. Lui è in carcere. L’ho denunciato quando ho capito che ero un vittima. Quella che lui aveva puntato per prendersela. Ma tu, che leggi questa storia, se hai bisogno, non fare come me. Chiedi assistenza. Non sei la sola».

Banner Gazzetta d'Alba