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25 NOVEMBRE / Il pronto soccorso è una porta aperta per le donne vittime di violenza: 6 i casi di violenza sessuale

È la responsabile del pronto soccorso (Dea) dell’ospedale Ferrero, medica con alle spalle più di trent’anni di lavoro, di cui la maggior parte in emergenza. «Sì, di donne vittime ne arrivano da noi. Il pronto soccorso è una porta aperta, ma certamente ne vediamo solo una parte. Chissà il sommerso...», dice.

25 NOVEMBRE / Quei lividi che gridano anche quando non si riesce a parlare

di Francesca Pinaffo

25 NOVEMBRE – Margherita Verney si esprime con la consapevolezza di chi conosce la durezza della realtà. È la responsabile del pronto soccorso (Dea) dell’ospedale Ferrero, medica con alle spalle più di trent’anni di lavoro, di cui la maggior parte in emergenza. «Sì, di donne vittime ne arrivano da noi. Il pronto soccorso è una porta aperta, ma certamente ne vediamo solo una parte. Chissà il sommerso…», dice.

Il ruolo di referente

È lei la referente, per l’Asl Cn2, sul tema della violenza di genere. L’azienda ha messo a punto un protocollo dettagliato sul come prendere in carico nel modo migliore chi rientra in questo scenario, dal punto di vista strettamente sanitario, ma anche in senso più lato. Oggi lo prevede la legge: c’è una rete da attivare, norme sulla privacy, prove da repertare nei casi più gravi dal punto di vista fisico, le violenze sessuali.

Gli arrivi in pronto soccorso

Verney torna al pratico: «Si presentano o da sole o, talvolta, accompagnate dai Carabinieri, quando c’è bisogno di un nostro intervento. Non so in base a quale dinamica, ma accade quasi sempre di notte o nel fine settimana». Hanno sul corpo traumi, contusioni, i segni delle botte. «A volte non sarebbero vere emergenze, ma evidentemente sanno che, da noi, trovano subito aiuto. Ed è un bene perché, facendo parte della rete territoriale antiviolenza, attiviamo tutti gli altri enti».

La fragilità psicologica

L’aspetto psicologico è il più difficile da affrontare: «Come medici, siamo chiamati ad ascoltare. Spesso le donne non ne parlano subito, ci arrivano a piccoli passi. Per le straniere, per via della lingua, è ancora più difficile. Direi che, in questi anni, mi sono sempre imbattuta in casi di violenza domestica o comunque relazionale, anche da parte di ex. Noi, spesso, capiamo subito». Come il caso di quella donna che continuava a presentarsi di settimana in settimana, prima con un livido, poi con un altro. Riportava di cadute, di colpi accidentali contro questo o quell’oggetto di casa, «fino a quando si è lasciata andare e ha parlato».

La presa in carico sanitaria

Dal punto di vista sanitario, nel momento in cui si arriva in pronto soccorso, parte il triage. Fino a qualche tempo fa, non c’era una voce dedicata nella scheda che compilano i sanitari: ora appare la dicitura “violenza”. Si procede con la presa in carico, eventuali esami, approfondimenti. I reparti coinvolti da subito possono essere anche la ginecologia e la pediatria, se ci sono figli minorenni. L’aspetto importante da sapere è che, a questo punto, la vittima entra in un canale di precedenza e di tutela. C’è una stanza dedicata, nell’area del pronto soccorso, in cui la donna viene accompagnata, «per farla sentire più sicura, a suo agio», dice Verney. «A Verduno, rispetto al San Lazzaro, abbiamo più spazi per fortuna». C’è anche un’altra area protetta in ospedale, in cui la donna può rimanere dopo gli accertamenti sanitari, in attesa che si trovi per lei una soluzione abitativa.

I numeri del fenomeno

Sono importanti anche i numeri: al 15 novembre, i casi di violenza sessuale registrati dal pronto soccorso ostetrico-ginecologico sono stati 6, come nel 2024. Quelli per violenza di genere, sempre al Dea, sono stati 20, per 19 è intervenuto anche il servizio sociale aziendale. Il Consultorio Alba-Bra ha seguito 30 donne vittime e il servizio di psicologia ne ha presi in carico 28, in certi casi provenienti sempre dall’ospedale.

Una tendenza in evoluzione

«Forse, negli ultimi anni, il numero è un po’ sceso. La pandemia ha dato il suo contributo, chiudendoci tutti in casa, ma anche lo spostamento a Verduno credo abbia influito, perché un ospedale in centro città è più immediato per questi case, pensando magari a chi non guida. Ecco, da questo punto di vista vorrei ribadire che noi ci siamo», conclude Verney.

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