ALBA – Andrea Scanzi, giornalista del Fatto quotidiano, è anche interprete teatrale e scrittore. Dal suo ultimo libro ha tratto La Sciagura. Cronaca di un governo di scappati di casa, che andrà in scena giovedì 27 novembre alle 21 al teatro Sociale. «È un monologo divertente che alternerà momenti di comicità e ironia con passaggi più arrabbiati. Racconto chi è Giorgia Meloni, come ha vinto le elezioni, come è arrivata al trenta per cento, quali sono le sue idee, perché ancora oggi ha questo consenso e perché l’opposizione non fa breccia. Il pubblico si divertirà, si arrabbierà e soprattutto non si sentirà solo e abbandonato dalla politica».
Cosa differenzia questo Governo di «scappati di casa» rispetto ai precedenti?
«Tra i Governi che ho visto, è uno dei tre peggiori di sempre insieme a Renzi e a quelli berlusconiani. Si distingue per la maggioranza di destra: per la prima volta ci sono degli ex fascisti conclamati. E sono ancora più impreparati rispetto a chi li ha preceduti».
Istruzione e merito, agricoltura e sovranità alimentare, made in Italy: nel ribattezzare i ministeri cambia la forma oppure la sostanza?
«Cambia solo la forma, ma questa è importante in ogni cosa, compresa la politica. In questo caso, lo è per un motivo triste: la sostanza del Governo, quasi sempre, è vecchia. Meloni fa le stesse cose di Draghi, ha abbracciato l’austerity, l’atlantismo e l’americanismo, si sta barcamenando, e per mantenere alto il consenso deve dare richiami identitari. Come per il made in Italy, che esiste a parole e mai nei fatti, se non a livello caricaturale, è un gioco di prestigio bassissimo per dire all’elettorato: siamo ancora nazionalisti e sovranisti, vogliamo bene al popolo».
Alba è Capitale dell’arte contemporanea 2027 e la notizia si è diffusa con il ministro Giuli che canticchiava Albachiara. Partendo da ciò, quali considerazioni si possono fare su di lui e sulle aspirazioni culturali della destra?
«Alba è una città che amo, la visito almeno due volte l’anno. Prima di scrivere la tesi sui cantautori, mi stavo per laureare su Fenoglio e, ogni volta che vengo da voi, passo a salutarlo. Venendo a Giuli, di lui, come persona che conosco, ho stima, ne riconosco la correttezza e la simpatia in privato. Credo non stia facendo grandi cose da ministro. L’egemonia culturale è un tema a me molto caro. La cultura è il tallone d’Achille della destra italiana, che negli ultimi sessant’anni ha prodotto nulla. Straparlano di egemonia culturale della sinistra, ne soffrono, ma è colpa di nessuno se non ci sono uomini di destra culturalmente alti. Al pubblico chiedo i nomi di cinque cantautori di destra e a malapena arriva a citare Povia: se lui è l’unico esempio siamo malmessi».
Salvini ha rimproverato Giuli di aver scelto come capitale «l’unica città di sinistra». Che momento stanno vivendo la Lega e il suo leader?
«Politicamente è morto dal 2019, dopo il Papeete. L’ho criticato quando era potente nel libro Il cazzaro verde. Resta il leader perché non hanno alternative, è la brutta copia della Meloni, che ormai l’ha superato in tutto, e inanella una gaffe dopo l’altra».
Come giudica la coesistenza nel Governo?
«I tre leader si stanno profondamente antipatici, ne ho le prove. Tra i pochi pregi che riconosco al centrodestra è il fatto di fare squadra quando, spesso, conquistano il potere. Arriveranno tranquillamente alla fine della legislatura, litigano negli spogliatoi e non in pubblico, al contrario del centrosinistra. Ognuno ha le proprie bandierine, la Lega l’autonomia differenziata e Fratelli d’Italia il premierato: per ora, chi gode è Forza Italia, che ha chiesto e ottenuto la riforma della giustizia».
Quali segnali vede da parte delle opposizioni?
«Pochi, però mi sono annoiato di partecipare allo sport del “picchia l’opposizione”. Vorrei un poker d’assi ma non c’è, il centrosinistra è frammentato. Chi non si riconosce nella Meloni deve comunque andare a votare l’alternativa e sperare che Schlein, Conte e Fratoianni facciano una politica coesa. Mai nella vita inserirei nell’alleanza Renzi e Calenda».
Cosa si può dire sulle denunce temerarie?
«Io faccio molte querele agli haters e mi ci compro macchine e moto, ma le querele temerarie sono un modo per zittire il giornalismo, l’opposizione e il dissenso. Colpiscono soprattutto i freelance che non hanno le spalle coperte dai giornali: per non dover affrontare spese legali, evitano di scrivere certi articoli, esporsi e inimicarsi il potere. È vergognoso che ciò continui dopo quanto successo a Ranucci e Report, l’Italia non recepisce quanto chiede l’Europa e c’è una legge che marcisce in Parlamento. Il governo Meloni querela dalla mattina alla sera e detesta le critiche: non saranno loro a cambiare le cose».
d.ba.
