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Angela, cent’anni di una donna di cuore

Se si pensa a una donna di altri tempi si è tentati di immaginare una lavoratrice con le mani indurite dal lavoro, il fiato corto di chi ha mai messo il naso oltre l’orto di casa, l’animo temprato da mille difficoltà, la rassegnazione delle persone semplici.

Se si prende un caffè con Angela, nella casa di Piana Biglini, che ha compiuto cent’anni il 24 febbraio, i luoghi comuni vanno messi da parte. Angela è in salute e si vede. I capelli folti e bianchissimi perfettamente raccolti sulla testa con un chignon, gli occhi vispi, legge senza occhiali e si muove con una sveltezza sorprendente. Ma non è solo una questione di fortuna. Quattro figli, sette nipoti e tredici pronipoti (presto saranno quindici): Angela ha i modi e le parole della donna che ha cresciuto decine di bambini, di quelle che non vede l’ora che ne arrivi un altro per poter crescere anche quello. Nella vita ha mai avuto la casa vuota e questo l’ha aiutata a tenersi giovane. «E dire che ho mai visto il mare», racconta.

Da una persona che ha frequentato solo la terza elementare e che ha sempre lavorato in campagna ti aspetteresti orizzonti limitati. Ma Angela sorprende. Parte da quando lei e la sua famiglia lavoravano come mezzadri, prima alle dipendenze dell’avvocato Gioelli e poi del conte Uberto Govone, figlio del generale ed ex sindaco di Alba. Non nasconde la rassegnazione e le asprezze della vita di campagna di inizio secolo, ma ricorda anche i momenti di riposo e festa, vissuti con intensità: dalla vijà nella stalla ai canti, dai bagni nel Tanaro ai balli dopo il lavoro nei campi. Poi il matrimonio, nel 1935, il nuovo «padrone» (la famiglia Botto-Micca di Corneliano), la guerra.

Il racconto degli anni del fascismo è esemplare. «Purtroppo in quegli anni non si capiva bene cosa stesse succedendo e non era facile ribellarsi », spiega. «Ricordo che i bambini e le bambine andavano in giro vestiti tutti uguali: le figlie della lupa e i balilla. Una volta sono andata anch’io, tra quelle che chiamavano le donne rurali. Avevo paura che i f a s c i s t i avrebbero controllato nelle cascine chi partecipava e chi no alle manifestazioni del regime. Ma mentre ero lì pensavo: sun propi fola – sono proprio stupida – perché non condividevo le idee del fascismo. Il fascismo promuoveva il lavoro nei campi con premi e manifestazioni per trattenere la gente nelle campagne: secondo loro, chi andava in città diventava per forza di cose più informato e poteva dare fastidio al regime».

Ma anche sulla guerra e sulla Resistenza gli episodi non mancano. Difficile raccontarli tutti. Ricorda quando rifiutò di recarsi ad Alba per far fondere la fede nuziale d’oro, o quando bombardarono il ponte del Tanaro e istituirono il servizio di traghetto.

Dopo la guerra, la rinascita e l’indipendenza economica, conquistata anche grazie al lavoro del marito Alberto. Gli anni del boom trascorrono tra figli che crescono, imparano un mestiere e regalano alla famiglia una nuova generazione di nipoti. E nel 1995 arriva il primo pronipote. Per Angela è una seconda giovinezza: quando parla di figli, nipoti e pronipoti le brillano gli occhi.

Vedi una persona pura di cuore. Quando ti parla dell’oggi, della crisi, del lavoro, si accosta con rispetto a ogni argomento, ascolta tutti ed evita giudizi affrettati. Quando la sorprendi nei momenti di preghiera o ti regala una parola di conforto, mai banale.

Angela è una donna di una femminilità materna e bella. Se le chiedi che cosa si aspetta dal futuro, ti dice di non vedere l’ora «che arrivi di nuovo la primavera, il caldo, per poter uscire e andare nell’orto, e poi di farsi trovare in salute dai nipotini che arriveranno ».

Alessandro Cassinelli

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