Ultime notizie

Amaro Succi, storia di un artista di nicchia e di un distillato leggendario

amaro succi non pubblicare
Giovanni Succi (al centro), con i Bachi da pietra. Foto di Antonio Viscido

LIBRI La passione per Dante e le Rime petrose, un rinomato amaro di famiglia e il racconto della carriera di un «artista di nicchia» sono le tre direttrici del primo romanzo di Giovanni Succi, cantautore nicese. A far convergere queste traiettorie autobiografiche in Amaro Succi (Valigie rosse) è lo spettacolo L’arte del selfie nel Medioevo, la cui prima si tiene l’8 marzo 2019 con l’inaugurazione del locale Germi di Milano, aperto dagli amici Rodrigo D’Erasmo e Manuel Agnelli. Il libro sarà presentato nella libreria nicese Il salotto di Bea venerdì 24 maggio alle 18.

Una ripartenza dopo anni di difficoltà e lavori non sempre appaganti per il fondatore delle rock band Madrigali Magri e Bachi da pietra, ma anche per il suo amore per la letteratura medievale, compagna fin dagli anni dell’università a Genova. Sul palco ci sono solo Succi, la sua chitarra e le Rime petrose del poeta fiorentino ricordate a memoria: un successo di pubblico e di critica che permettono al nicese di proseguire il suo percorso artistico.

«Dante è stato il primo a porsi come autore, a tentare l’intentato dando un ritratto di sé stesso senza altri fini. Purtroppo viene spesso associato a una figura carnevalesca, un’immagine ereditata dall’agiografia successiva, il cui contributo di Boccaccio è stato decisivo. A me interessa riportarlo in carne e ossa con la sua carica rivoluzionaria», dice il cantautore.

Tutto nasce negli anni ’80 con i primi esperimenti musicali, insieme all’inseparabile chitarra “La pelosa”, e la scoperta del Maltese di Cassinasco, un luogo frequentato da «contadini geniali, metalmeccanici letterati, milionari dal basso profilo, collezionisti di armi d’assalto con un alligatore nella vasca da bagno», divenuto ritrovo d’irregolari dal talento musicale e artistico.

Tra questi anche Gianrico Bezzato, Marco Drago, Sergio Varbella e Roberto Rivetti che daranno vita a un’omonima rivista, capace di lanciare molti esordienti della narrativa italiana degli anni ’90 e da cui Succi si dividerà, seppur restando loro amico: «I miei interessi erano più rivolti all’italianistica e al Medioevo, i loro erano più anglofili».

Sono anche gli anni in cui la fortuna della famiglia Succi di Nizza Monferrato, legata all’amaro col cardo gobbo premiato nel 1896 dal Circolo enofilo di Roma, inizia a ridimensionarsi dopo diverse alluvioni che ne danneggiano lo stabilimento, fino ad arrivare alla scomparsa della leggendaria ricetta, scritta su una porta che nessuno troverà più.

«Al fuma, al fuma dabón», è il refrain di papà Pio Succi, primo membro della dinastia ad abbandonare la distilleria e a dedicarsi al commercio di acque minerali con il cugino Giuseppe. Stimato artista e scultore, nasconde la poca attitudine a quel mondo con la speranza di ritornare un giorno a produrre lo storico amaro.

Le ultime pagine segnano il confronto con la sua figura rassegnata di pittore e d’imprenditore, così lontana dal carattere irrequieto e «ottuso» del figlio, ma che in fondo rappresenta soltanto una diversa risposta a un’eredità difficile da gestire.

Lorenzo Germano

Banner Gazzetta d'Alba