
Erano le 9 di sabato mattina, 5 novembre del 1994. Pioveva da tre giorni, come in un romanzo di Garcia Marquez. I bollettini meteo erano poco rassicuranti ma non destavano allarme. «600 millimetri di pioggia in due giorni» diceva la radio. Commentai il dato con mia moglie, vidi che sistemava il bavaglino a mio figlio Francesco, un anno e mezzo. Le dissi: «due ore e siamo da Giulia». Giulia, tre anni, era dai nonni al mare. Il traffico s’infittiva, offuscato dal velo di pioggia sul parabrezza. Lenta, la Torino-Savona, ma mai così. Un cartello luminoso obbligò ad uscire a Ceva. Nessuna spiegazione. La radio taceva. Ci accodammo.
«Che succede?» chiesi al casellante. «Niente. Autostrada bloccata, piove troppo, e poi in paese c’è acqua, giù all’ospedale.» Pioveva, in effetti, ma mica dovevamo andare all’ospedale. Molte auto erano ferme attorno all’albergo Sanremo. «Forse ha ragione lui, non è niente» pensai. Decidemmo di salire su per il San Bernardino. Il traffico si sciolse. Sorrisi a mia moglie. Lei non ricambiò; indicò la melma che sporcava l’asfalto. Mi strinsi nelle spalle: «Normale, quando viene giù così» pensai. Pioveva forte, sull’asfalto marrone. Spia del carburante. «Com’è la strada, su?» domandai al benzinaio di Nucetto. Allargò le braccia. «Fosse per me, tornerei indietro». Io e Romana ci scambiammo un cenno di assenso. «Da Ceva saliamo poi per Millesimo e Carcare», dissi. Ringraziammo il benzinaio e feci inversione di marcia.
«La strada per Millesimo era come uno slalom tra rami e tronchi»
La strada era deserta. La fanghiglia, magma sull’asfalto. Procedevo lento. Due minuti e mi fermai. Una ruspa bloccava la strada per spostare un tronco. Brontolai: «Adesso fanno i lavori?» Mia moglie: «Ma non vedi che il tronco è caduto?» Vero. La situazione era grave. Sgombrata la strada, riavviai. Poco più a valle un altro tronco. Sterzai e gli girai attorno. «Andiamo all’albergo, giù, e aspettiamo che spiova» disse Romana, col buon senso femminile. «No, Millesimo» risposi. Vinse lei. Alcune auto al ciglio della strada avevano l’acqua sopra i cerchi. Qualcuno m’indicò un parcheggio elevato rispetto alla strada, vicino al ristorante. Erano le 13,30 quando parcheggiavo. Il ristorante era gremito. «Cerchiamo un telefono a gettoni» dissi «per avvisare i nonni del ritardo. Mangiamo e andiamo per Millesimo» insistetti. Mi guardò torva, Romana. Francesco, seduto nel passeggino, giocava con un’automobilina.
Alle 14, le prime informazioni: un’ondata di piena a monte di Garessio stava devastando tutto nella corsa sfrenata a valle. Alcuni clienti, tentata Millesimo, erano tornati slalomando fra rami e tronchi. Meglio tornare a casa e ripartire l’indomani, allora. La Prisma aveva l’acqua sui mozzi e non si avviava perché di spinterogeno delicato. Arrivò il carro attrezzi alle 17, alle 20 ripartimmo per Torino. L’autostrada era libera ma l’informazione dalla radio usciva dura come le secchiate d’acqua sul parabrezza. L’indomani fu impossibile ripartire per Andora. Guardammo alla tele la pianura fra Alba e Alessandria sfregiata dal fango. Giulia rimase un bel po’ dai nonni, che per fortuna non erano ad Alba.
Teresio Asola
