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L’INCHIESTA / Acna di Cengio, la bonifica che non c’è

L’ex presidente dell’associazione dei lavoratori nell’azienda chimica si rivolge al ministro dell’ambiente per denunciare che nel sito di Cengio e Saliceto non è stata effettuata alcuna bonifica e nulla è stato rimosso

L’ALLARME Pier Giorgio Giacchino lancia il suo appello al ministro dell’ambiente: «Una montagna di scorie mai rimosse incombe sulla Valle Bormida. Ventiquattro anni e quattrocentoventi milioni di euro di “non soluzioni” meritano qualche riflettore». Scrive al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, Pier Giorgio Giacchino, l’uomo che tramite Gazzetta d’Alba lanciò un informato monito sulla gestione di Egea a carte ancora coperte dal trionfalismo di facciata. Questa volta l’ex presidente dell’Associazione lavoratori Acna (Ala) riflette ad alta voce con il Mase circa la proposta di riperimetrazione del sito d’interesse nazionale (Sin) di Cengio e Saliceto, di cui abbiamo sempre informato. «Quale cittadino di Camerana, in Valle Bormida, intendo portare un contributo di conoscenza sull’effettivo stato del luogo, da cui nessuna decisione dovrebbe prescindere», afferma Giacchino nella missiva. Riprendiamo per intero le sue parole per la loro tragica attualità.

Le scorie tossiche

Siamo in territorio ligure, sul confine con la provincia di Cuneo, terra sulla quale si è riversata la totalità di un inquinamento secolare; questa collocazione rappresenta da sempre e tuttora un potere decisionale unilaterale su ogni aspetto burocratico, autorizzativo e di controllo, con effetti e conseguenze che ricadono in Piemonte. Tale secolare e aspro conflitto territoriale, attenuatosi con la definitiva chiusura e lo smantellamento degli impianti dell’Acna, ha comunque trovato composizione e superamento con espliciti protocolli d’intesa sottoscritti tra le due Regioni e il Ministero dell’ambiente mai dismessi, con fasi di progettazione e attuazione delle opere di contenimento dei milioni di tonnellate di scorie tossiche.

Situazione irrisolta

La positiva gestione commissariale di un primo periodo è stata tuttavia troncata nel 2010, con l’annuncio da parte della proprietà: «Bonifica terminata». Ha preso così avvio una conduzione pressoché unilaterale del sito d’interesse nazionale, con una bonifica in realtà per nulla conclusa e risolta. La mitigazione delle misure adottate in origine sul Sin di Cengio e Saliceto dovrebbe discendere dalla risoluzione o quantomeno dal miglioramento delle condizioni che le avevano rese necessarie. Quanto fin qui richiamato dovrebbe non solo consigliare la conservazione dello status quo ma anche offrire occasione per ulteriori considerazioni, peraltro le stesse inutilmente segnalate a Syndial e poi a Eni Rewind.

L'INCHIESTA / Acna di Cengio, la bonifica che non c’è

La messa in sicurezza

A differenza di quanto a lungo propagandato e oggi taciuto, nel sito industriale dell’ex Acna di Cengio non è stata compiuta alcuna bonifica e nulla è stato rimosso. Quella montagna di scorie e l’intero sottosuolo di 55 ettari sono stati oggetto di una semplice messa in sicurezza che, in quanto tale, obbliga a presidio, manutenzione e controllo senza limiti di tempo, costituendo un pericolo incombente sulle popolazioni della Valle Bormida. Ma c’è di più: il contenimento di questo immane deposito è affidato a un muro di cinturazione perimetrale confinante con l’alveo del fiume Bormida sui lati Est, Sud e Ovest del sito, ma del tutto mancante per un chilometro sul lato Nord.

Il percolato a Nord

Sia le acque sotterranee di falda (della cui entità non è dato sapere) sia quelle meteoriche, che filtrano attraverso il suolo, si trasformano in percolato, che fuoriesce inevitabilmente dal perimetro Nord, con destinazione sconosciuta. Si tratta di quantità rilevanti: nei primi nove mesi del 2024, per esempio, entro i 55 ettari del perimetro del Sin sono caduti 1.055 millimetri di pioggia, pari a 580mila metri cubi; oltre 250mila ne sono piovuti sulla sola area A2, destinata a insediamenti produttivi, non bonificata ma certificata a condizione del mantenimento della falda al di sotto di 1,2 metri dal livello del suolo. In realtà, questo livello è stato sistematicamente superato, anche fino all’emersione, così determinando la compromissione e l’inutilizzo dell’area stessa, a causa del suolo ricontaminato.

La prova del superamento sistematico e non episodico di detto vincolo emerge dal monitoraggio del reticolo piezometrico nelle zone A2 e A2bis a cura del Centro di competenza idrologica della Provincia di Savona, certificato in centinaia di riscontri dal 2010 al 2022, accompagnati da notazioni critiche, al punto che Eni Rewind ha chiesto e ottenuto una più favorevole modalità di valutazione delle misurazioni.

Gli inquinanti

La rilevante presenza di inquinanti tipici delle produzioni dell’Acna è riscontrabile in profondità sia oltre il muro di contenimento lungo il fiume sia dal lato opposto, dopo la ferrovia Torino-Savona, nella cosiddetta area Merlo, dove ci sono mai stati impianti produttivi. Quest’area, ricompresa nella perimetrazione del Sin di Cengio e Saliceto, essendo confinante con il sito e – come dimostrato da prove fotografiche – con gli enormi depositi di benzene, materia prima dell’Acna, è stata inopinatamente venduta a un privato nel 2001 per essere immediatamente abbancata con 90mila metri cubi di inerti. Questo passaggio ha molto complicato, ma non impedito, riscontri analitici che denunciano valori di benzenici migliaia di volte superiori ai limiti di legge, la cui migrazione è ignota. Di quest’area Syndial prima ed Eni Rewind oggi dispongono con immutata continuità.

La diga sul Bormida

Ulteriori e non meno rilevanti problematiche su altre zone – tutte appresentabili a manifestazione di interesse – riducono il concetto di bonifica del Sin di Cengio e Saliceto a una millanteria, forse comprensibile per una baldanzosa start up ma non certo per una società che fa del prestigio internazionale il suo biglietto da visita. È, per esempio, incomprensibile la progressiva riduzione del presidio sull’area sia in termini di frequenza dei controlli che di personale. Non meno sorprendente appare l’intenzione di procedere alla demolizione della diga a stramazzo sul Bormida, a monte del sito, esistente da quasi un secolo, garante di un assetto fluviale che ha salvaguardato il perimetro dell’Acna anche nelle alluvioni più catastrofiche. Per nessuna ragione si dovrebbe modificare lo stato del luogo, in considerazione della cartografia idrogeologica ligure che segnala il ripido versante collinare di sponda sinistra del fiume in frana attiva. Le conseguenze di un’inondazione di quel sito, per quanto contiene, sarebbero inimmaginabili per la Valle Bormida piemontese, configurando responsabilità omissive non solo colpose.

Salvare il salvabile

Occorre prendere piena coscienza della situazione: non sarà possibile lasciarsi alle spalle un disastro di tali dimensioni, confidando solo sul rapido scorrere del tempo, sulla perdita della memoria storica (reale, omertosa o compiacente), sulla progressiva diminuzione di consapevolezza politico-amministrativa evidente a ogni elezione.

Si tratta piuttosto di prendere coscienza dell’impossibilità di soluzioni tecniche reali e definitive, indipendentemente dal-
l’entità delle risorse ancora disponibili: di questo occorre acquisire contezza, per una convivenza consapevole, destinando ogni ulteriore sforzo a un piano di protezione e salvaguardia come sola misura realistica e doverosa per la Valle Bormida. Con manifestazioni meteorologiche sempre più esplosive e frequenti bisogna mettere in conto conseguenze catastrofiche, incerte come data ma ben certe come eventi. Al punto in cui è giunta la situazione, o meglio, al punto in cui la si è lasciata arrivare, non esistono margini di composizione diversi o migliori per superare un conflitto ultrasecolare. Il ministro dell’ambiente, di concerto con le Regioni, può portare a conclusione la prima guerra ambientale per dimensioni e mobilitazione, come nessuno ha mai nemmeno tentato di fare.

Pier Giorgio Giacchino

Un osservatorio tra gli enti locali del Piemonte

La scorsa settimana, nel salone dell’Unione montana, a Bossolasco, si è svolta una riunione aperta della Giunta dell’ente, convocata dal presidente Davide Falletto in accordo con la Regione, per condividere le criticità e cercare soluzioni sull’annosa questione Acna.

L’incontro ha posto le basi per la creazione di un osservatorio, strumento definito «indispensabile per tornare a parlare dell’Acna e per la creazione di tavoli di lavoro e di confronto in cui portare le istanze del territorio».

L’auspicio è che il nascente organismo abbia più fortuna di quelli nati nei decenni scorsi. Nel marzo del 2011 era stata creata una cabina di regia per il rilancio della Valle Bormida che coinvolgeva Regione, Provincia e Finpiemonte, ma se ne sono perse le tracce. Stessa sorte è toccata al Contratto di fiume, presentato a Monesiglio sempre nel 2011. L’accordo doveva essere stipulato nel 2013, ma dopo un’assemblea ad Alessandria e un workshop al Palazzo rosso di Cengio non si è più saputo nulla.

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Nel 2008 era arrivato il progetto “La valle del sole” (trenta iniziative per 23,5 milioni di euro), elaborato dall’Osservatorio ambientale della Valle Bormida, ma bocciato sul nascere dalla maggior parte dei sindaci. Nello stesso anno, i presidenti di Piemonte e Liguria – Mercedes Bresso e Claudio Burlando – siglarono un protocollo d’intesa che prevedeva la costituzione di un gruppo di lavoro per il recupero ambientale della Valle Bormida.

La prima Commissione interministeriale sui problemi della zona risale al 1964. Venne sciolta due anni dopo. Nel 1990 nacque a Cuneo l’ufficio Seveso per coordinare le attività di monitoraggio in Valle Bormida, ma non risulta abbia mai preso servizio.

I primi anni Novanta si aprirono con un tris di organismi dedicati alla questione Acna. Nel 1993 venne costituito un comitato tecnico presso la presidenza del Consiglio, l’anno dopo toccò a una Commissione interministeriale e nel 1995 a una Commissione parlamentare d’inchiesta istituita dalla Camera.

Corrado Olocco

La descrizione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica

Il sito di interesse nazionale Cengio e Saliceto è situato nella Valle del Bormida, in provincia di Savona, e si estende su un’area di circa 22mila e 249 ettari.

La sua origine risale al 1882, quando nell’area s’insediò un piccolo dinamitificio per la produzione di esplosivi. Nel 1925 lo stabilimento venne convertito dall’Acna, acronimo di Aziende chimiche nazionali associate, in una fabbrica di intermedi per coloranti e farmaceutici; quindi, nel 1931 passò alla società Montecatini e poi alla Montedison nel 1964.

Nel 1988, dopo cento anni di attività da parte di società esterne al gruppo Eni, l’Acna confluì in Enimont. Nel 1991 lo stabilimento passò invece sotto il controllo di Enichem, oggi denominata Eni Re-
wind, che fermò definitivamente le attività produttive nel corso del 1999.

Nella porzione occidentale del complesso industriale (area A1) erano presenti rifiuti e terreni contaminati per una volumetria di circa un milione e 290mila metri cubi, a cui andavano sommati i 300mila metri dei reflui salini per i quali erano già state avviate le attività per il trattamento e lo smaltimento.

Nella porzione orientale del complesso industriale (area A2) erano stati rilevati terreni contaminati da composti organici e inorganici, per 150mila metri cubi. In corrispondenza delle aree prossime al complesso industriale ma esterne al muro di cinta (area A3) erano invece presenti 310mila metri cubi di terreni contaminati mentre i rifiuti (“collinette”) ammontavano complessivamente a circa 200mila metri cubi. Nell’area A4 (discarica di Pian Rocchetta), posta sul confine tra Liguria e Piemonte, erano presenti infine 200mila metri cubi di materiali.

Dalle indagini svolte sulle aree pubbliche sono risultati superamenti per metalli, per numerosi composti con presenza di sostanze semivolatili (come il clorobenzene) e di sostanze solubili (come i composti naftalensolfonici). Anche per le acque sotterranee è stata riscontrata una contaminazione da metalli diffusa, in particolare per quanto riguarda arsenico, ferro e manganese.

 Ministero dell’ambiente

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