
IL PROGETTO Il legame tra la Palestina e il beato Giuseppe Girotti continua a essere vivo. Il domenicano, nato ad Alba nel 1905 e morto nel campo di concentramento di Dachau il primo aprile 1945, si formò in Sacra scrittura all’École biblique di Gerusalemme nel 1934. Da agosto, nel villaggio beduino di Abu Hindi, nel deserto di Giuda a Est di Gerusalemme, sono stati piantati ulivi dedicati alla sua memoria. Tutto è nato dal contatto tra Jacopo Di Marco, pronipote del martire, esperto d’arte e membro dell’associazione Beato padre Girotti, e l’artista fiorentino Giovanni De Gara.
Ad aprile, in occasione del decennale della beatificazione, sulle porte del Duomo, del San Giuseppe e del San Domenico era stata installata l’opera Eldorato, ideata da De Gara utilizzando le coperte termiche per ricordare le vittime dei naufragi nel Mediterraneo.
Racconta Di Marco: «Con l’occasione, Giovanni ci ha parlato del progetto “Il deserto fiorirà”, volto a raccogliere fondi per piantare 1.500 alberi attorno a quattordici villaggi beduini della Palestina. Ci sembrava significativo aderire e, come associazione, abbiamo messo a disposizione cinquecento euro. Oltre ad alcune fotografie, come attestato di partecipazione ci ha omaggiati di alcune sue opere». La campagna è ancora aperta e chi volesse contribuire può farlo sul portale www.produzionidalbasso.com.
Ad aggiungere dettagli è lo stesso De Gara: «Grazie all’interessamento di un amico prete, sono stato nella zona nell’estate 2023. Per l’occasione avevo proposto un’esibizione nel deserto che mostrava l’opera Eldorato. Il mio obiettivo era tornare ad agosto, ma con la guerra in corso è stato impossibile. Mi appoggio ad alcune suore comboniane che, per fortuna, continuano a svolgere la propria missione nella zona. Il monastero a cui fanno riferimento è al di qua del muro e, per evitare di dover passare ogni giorno per lunghi controlli, due di loro si sono trasferite dall’altra parte».
Ma la vita in quei luoghi non è mai stata semplice: «Per i beduini la vita è sempre stata molto dura, anche prima del conflitto. Vivono in case di lamiera con poca acqua e luce. Nonostante molti di loro siano muratori, non possono erigere edifici in mattoni. Questo perché, altrimenti, i coloni israeliani che occupano illegalmente quella porzione di terra li abbatterebbero con i bulldozer. Vogliono cacciarli via ed eliminare ogni possibile traccia di una vita stanziale».
A essere in pericolo sono anche le colture: «Lo scorso anno abbiamo portato cinquecento limoni e cinquecento bougainvillee. Quest’anno le suore hanno consegnato i cinquecento ulivi, coltivare le piante è un segno di resistenza. Occorre fare attenzione e impiantarle gradualmente: in caso contrario, i droni israeliani sarebbero già pronti a distruggerle. Nessuna risoluzione internazionale li ferma: pur violando palesemente ogni diritto, Israele fa ciò che vuole ed è impunito».
Davide Barile
