Ultime notizie

Le Stem sono per tutti, Elisa Giaccardi: «Se vuoi qualcosa, devi chiederlo»

L'albese a settembre ha ricevuto l’InspiringFifty, il premio che nomina le cinquanta donne che più contribuiscono a far raggiungere l’equilibrio di genere nel settore tecnologico

 3

IL COLLOQUIO Elisa Giaccardi ottenne il primo incarico di dottorato all’estero – in Inghilterra – appena laureata all’Università di Torino, grazie all’originalità della sua tesi; a settembre ha ricevuto l’InspiringFifty, il premio internazionale ideato nel 2013 da Janneke Niessen e Joelle Frijters. In ogni Paese vengono nominate le cinquanta donne che più contribuiscono a far raggiungere l’equilibrio di genere nel settore tecnologico. E che possono essere dei modelli in grado di orientare più ragazze verso il mondo Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e Itc (tecnologie dell’informazione e della comunicazione).

Nel caso di Elisa Giaccardi l’InspiringFifty è un riconoscimento tagliato su misura. È tra le persone che stanno lavorando al futuro: studiano l’interazione tra noi e le macchine, lavorano all’integrazione tra le intelligenze naturali e artificiali, in campi che vanno oltre le prospettive tradizionali, come il More than human design. Dopo aver lavorato e insegnato in Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Svezia e Paesi Bassi, da febbraio l’albesissima Elisa, già studentessa del liceo Govone, è docente al Politecnico di Milano. Quattro su dieci dei suoi studenti vengono dall’estero, anche dall’Estremo oriente, e all’occhio di chi assiste a una delle lezioni che tiene in uno spazio studiato per il lavoro di gruppo, la parità di genere pare un obiettivo raggiunto.

Ma nel mondo ancora non è così. Sulle differenze nell’accesso alle professioni tra uomo e donna, Elisa è chiara: «Il problema è enorme e coinvolge molti settori. Nell’ambito scientifico e tecnologico ritengo sia ancora più notevole. Ciò è dovuto a molti fattori. Da un lato ci sono meno donne incoraggiate a iscriversi a determinati corsi di studio: è un esempio messo in evidenza pure dalla rettrice del Politecnico, Donatella Sciuto. Non bastano le iniziative di incoraggiamento, c’è sempre chi ha paura di non riuscire. L’uomo si butta, la donna no. Poi entrano in gioco le caratteristiche psicologiche delle donne, legate spesso al modo in cui veniamo cresciute dai genitori. Nei Paesi Bassi, organizzano corsi di formazione per aiutare le donne a credere nelle proprie potenzialità».

Il suo percorso parte da studi umanistici, come è arrivata a lavorare nell’ambito tecnologico?

«Come a molti nella vita, mi è capitato di trovarmi in particolari circostanze. All’università ho studiato lettere moderne, erano i primi anni del corso di laurea in scienze della comunicazione e mi ero appassionata alle lezioni di teoria e tecniche dei nuovi media, tenute da Mario Ricciardi. In particolare, mi interessava la sperimentazione artistica sulle reti. Dopo la tesi scrissi un articolo che inviai a un docente inglese. Mi rispose “Che bello, vuoi venire a fare il dottorato con me?”. Non era mia intenzione partire, ma la curiosità mi ha sempre portata a contatto con persone che hanno apprezzato le mie idee. Dopo il Regno Unito sono stata per un post dottorato negli Stati Uniti e via via mi hanno cercato in altri Paesi».

Come descriverebbe in parole semplici il suo ambito di ricerca?

«Direi che, in questo momento, mi occupo di come gli esseri umani possano collaborare e lavorare con l’intelligenza artificiale. Il mio compito non riguarda lo sviluppo tecnologico, algoritmi o modelli, bensì progettare l’interazione con il sistema. A seconda di come la si imposta, l’impatto può essere più inclusivo e sostenibile. Per esempio, uno strumento di intelligenza artificiale generativa come ChatGpt può essere usato in modo tale da aiutarci a riflettere, agire in modo diverso e smettere di rinforzare stereotipi. Quando si parla di etica nel campo dell’intelligenza artificiale, molte volte ci si è limitati a ideare una serie di paletti per bilanciare le variabili. Può accadere però una situazione analoga al programma Gemini di Microsoft: quando è stato chiesto di riprodurre i padri fondatori degli Stati Uniti, sono uscite delle persone nere. Politicamente corretto ma storicamente inaccurato. Diverso il caso di una mia dottoranda che, per scardinare i suoi pregiudizi come progettista, è riuscita a sviluppare giocattoli fluidi, utilizzabili da bambini e bambine. La chiave è l’input che si dà all’intelligenza artificiale».

 

 3
Foto Rastelli

«Se si vuole restare democratici, non si riesce a rispondere in fretta ai cambiamenti»

Secondo lei quali sono i rischi che l’intelligenza artificiale comporterà per il mondo del lavoro?

«Ci saranno cambiamenti, purtroppo inevitabili. Alcune professioni moriranno, se ne svilupperanno delle nuove. Penso al prompting, al ruolo di colui che interagisce con l’intelligenza artificiale e dà istruzioni per produrre output, cioè risultati di qualità. Non sono preoccupata del- l’impatto: in fondo, ogni cambiamento tecnologico ha comportato nascita e morte di professioni. Il problema maggiore sta nel fatto che le nuove tecnologie sono in mano a società private, le quali detengono un enorme potere e il controllo economico e politico. Purtroppo, i nostri Governi non sono capaci a rispondere, mancano competenza e volontà. Mentre le aziende ragionano per piani quinquennali o decennali, i politici pensano per cicli elettorali. Qualsiasi problema sociale o ambientale con un orizzonte a lungo termine non lo riescono a gestire. Per fortuna, almeno l’Unione europea sta cercando di regolamentare l’intelligenza artificiale. Siamo in una situazione paradossale in cui, se si vuole restare democratici, non si riesce a rispondere in fretta ai cambiamenti».

Quale messaggio si sente di lasciare a una ragazza alle prese con la scelta del percorso di studi?

«Le direi di circondarsi di persone che dicano: “Ce la puoi fare”. Io sono stata fortunata: famiglia, compagno e amici hanno sempre creduto in me e mi hanno aiutata a credere in me stessa. Le altre voci non vanno ascoltate. Se si compie la scelta sbagliata nel proprio percorso, occorre non perdere di vista le proprie inclinazioni. Le strade sono molte, se alle superiori e all’università avessi studiato in corsi prettamente scientifici non credo che sarei arrivata dove sono. Ho sempre avuto la curiosità per la tecnologia, ma un ingegnere ragionerebbe in modo diverso da me. Ci sono percorsi affascinanti che richiedono di mettersi in gioco e confrontarsi con persone diverse per capirne il valore».

 3
Foto Rastelli

E per il lavoro?

«Nel primo periodo in cui sono stata in Olanda, una professoressa di informatica mi regalò un libro. Il titolo era Chiedilo. Ho imparato che, anche se sembra stupido, se vuoi qualcosa devi chiederlo. Infatti, spesso accade che giovani ricercatrici non dicano cosa sanno o vogliono fare. Al contrario, ricordo un progettista statunitense che, dopo una conferenza, disse molto chiaramente: “Mi piace la vostra istituzione, dovreste chiamarmi per tenere un corso”».

Paolo Rastelli

Banner Gazzetta d'Alba