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Turismo nelle Langhe e nel Roero: non c’è solo chi arriva con il portafoglio più gonfio

«Contro il caporalato introduciamo un vademecum che certifica il nostro impegno per il rispetto delle regole e dei lavoratori»

ANALISI Nelle ultime settimane si è sviluppato un dibattito rispetto alla situazione dei flussi turistici che stanno interessando l’Albese. Un altro autunno di grande frequentazione ha riportato alla ribalta problemi già evidenziati negli anni passati. In diversi paesi si sono verificati affollamenti esagerati, intasamento di vie e piazze, una difficile gestione dei parcheggi, difficoltà a trovare posto nei ristoranti e nelle trattorie, con conseguenze critiche sia per chi vive qui sia per chi viene in visita e gradirebbe un’adeguata accoglienza. Non abbiamo facili soluzioni. Ma partecipiamo al dibattito per ribadire alcuni concetti che riteniamo essenziali e legati alla natura dei nostri posti.

La realtà dei piccoli spazi

Go wine, i grandi terroir del Barolo si presentano a Monforte d'AlbaC’è un dato di base: non siamo in Toscana dove ogni paese ha una superficie di decine se non centinaia di chilometri quadrati. In Langa e Roero gli spazi sono piccoli.

È facile rendersene conto già a un’osservazione superficiale. Qui le vigne si vedono davvero e non solo perché c’è spesso monocoltura. Ma anche le vigne sono piccole, nonostante i recenti accorpamenti. E sono piccoli i centri abitati, le vie, le piazze, gli spazi di accoglienza. Tutto dipende dalla conformazione delle zone di origine dei nostri vini, con aree di dimensioni ridotte sia per la viticoltura, sia per le attività complementari, a iniziare dal turismo.

Per esempio mancano i parcheggi per accogliere tutte le auto in arrivo, ma viene da chiedersi – e la domanda è retorica – se bisogna stravolgere il territorio per creare parcheggi e trasformare una realtà operosa ma intima in una nuova terra dal “turismo selvaggio”.

Ci sono anche altre ragioni

E vanno tenute in considerazione. Prima di tutto, il fatto che i prodotti – non solo i vini – sono ottenuti in quantità limitate e con grandi qualità. Ciò ha generato nel tempo delle rendite di posizione importanti, che stanno gratificando i produttori, ma che per conservarsi e crescere, necessitano di coerenza, di comportamenti qualificati, di rispetto dell’origine.

Coloro che hanno faticato nel corso di decenni per arrivare ai livelli attuali di qualità, immagine e remunerazione fanno bene a chiedere una gestione puntuale dei flussi turistici. Ma pretendere il perseguimento di questo obiettivo non significa accogliere solo chi ha il portafoglio più gonfio, ma piuttosto chi ha sensibilità, cerca la qualità e la capisce. Aprire le porte a chiunque può avere conseguenze gravi per l’impossibilità di dedicare a chi arriva la giusta ospitalità, di fornire servizi adeguati alle aspettative e di creare un turismo non adeguato alla qualità e al valore economico dei vini, come degli altri prodotti. In una parola, evitiamo che la moneta cattiva scacci quella buona.

Prospettive più ampie

Foto d’archivio del parcheggio di Barolo

Proviamo una volta per tutte a «volare più in alto». Non limitiamoci a dare da mangiare e da bere ai turisti. Accompagnare il vino e il cibo con informazione e divulgazione di cultura non solo non guasterebbe, ma faciliterebbe la fidelizzazione dei visitatori. C’è chi già lo fa, ma sono ancora pochi. E talvolta la mancanza di informazione e formazione riguarda anche gli operatori.

Sarebbe una soluzione diffusa, capace di trasformare una semplice proposta di vino e cibo in un qualcosa di più completo, in grado di coinvolgere e far crescere il livello dei nostri interlocutori. Così facendo, forse il numero degli arrivi si ridurrebbe, senza dover ricorrere a meccanismi astrusi come il “numero chiuso”, che – se andiamo avanti così – potrebbe essere necessario prendere in considerazione.

Giancarlo Montaldo

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