
BEVANDE A fine febbraio è arrivata una doccia fredda per l’Unione europea (Ue) quando il presidente americano Donald Trump, nella prima riunione con il nuovo esecutivo, ha annunciato tariffe doganali del 25 per cento per gli Stati del vecchio continente.
Una scelta dovuta a un presunto deficit commerciale di 300 miliardi di euro e al fatto che «l’Ue è stata progettata per ingannare gli Stati Uniti». Questa mossa al momento rimane virtuale, mentre per Canada e Messico è rinviata al 2 aprile, ma crea parecchi timori e fluttuazioni concrete nei mercati di tutto il mondo.
Per il comparto del vino italiano gli Usa rappresentano il 24% dell’export con un valore di 2,6 miliardi di euro: le minacce di tasse aggiuntive si uniscono a un clima già reso difficile dalle accise sulle bevande alcoliche applicate in Russia e quelle arrivate nel Regno Unito dallo scorso 1° febbraio.
Anche per la Granda il mercato a stelle strisce è fondamentale: nei primi nove mesi dello scorso anno ci sono stati 837 milioni di euro di esportazioni di bevande (in cui sono compresi i vini), di cui il 23,9% è finito oltreoceano. Parliamo di 200 milioni, in crescita del 2,9% rispetto al 2023.
Per capire meglio quali sono le preoccupazioni, e le possibili conseguenze, per i produttori del nostro territorio, abbiamo parlato con Paola Lanzavecchia, presidente della sezione vini e liquori di Confindustria Cuneo, che riunisce 50 aziende e oltre 1.600 addetti.
Come state vivendo questa situazione geopolitica legata alla possibile applicazione di dazi da parte degli Usa, Lanzavecchia?
«Non è facile muoversi, è un po’ cambiato tutto il paradigma. Io sono del 1982, quindi ho iniziato a lavorare a tempo pieno in questo settore nel 2005 vivendo il massimo clima di apertura. Oggi abbiamo tanti punti di domanda, bisogna considerare prima di tutto che gli Stati Uniti sono per i Dop rossi piemontesi il mercato più importante e quindi è chiaro che stiamo attenti a capire quello che succede. È anche vero che le caratteristiche dei nostri vini sono leggermente diverse, nel senso che l’alta qualità produttiva permette di avere interlocutori importanti sul territorio che riguardano sia il cliente finale che la filiera distributiva. Credo, comunque, che in questo momento si debba pensare a delle strategie lavorando in sinergia con i partner commerciali».
Che andamento state osservando per quanto riguarda l’export?
«Non abbiamo dati precisi, perché sono in mano alle dogane, ma quello che possiamo riferire in questi primi due mesi del 2025 è un trend che si era già visto verso la fine dello scorso anno: da parte degli Stati Uniti c’è la volontà di approvvigionarsi e mettere in casa prodotto proprio per evitare le conseguenze di possibili dazi. Ma è un rischio perché poi in qualche modo, se arriveranno davvero, ci sarà di colpo un rallentamento. Per ciò che riguarda gli altri mercati, l’Europa è in sofferenza, basta pensare alla Germania. È chiaro che anche con le politiche europee sull’etichettatura si sono create tendenze dai riscontri non sempre facili da capire. Io vedo molte delle nostre aziende attive per rispondere anche a quello che sta succedendo in Italia».
Come condiziona le vendite, sul lato interno, il nuovo Codice della strada?
«Ha una sua influenza importante, perché le nostre aziende hanno come primo mercato quello domestico. Stiamo facendo i conti con una politica italiana che ha gestito una comunicazione non ottimale di questo Codice della strada. C’è stato un inasprimento di alcune sanzioni, ma i limiti sono rimasti quelli precedenti. I giornalisti hanno cavalcato l’onda dello scoop, non giovando troppo a una condizione già difficile. Io confido che su questa situazione il consumatore finale prenda coscienza. Servono poche informazioni, ma chiare, da parte delle associazioni di categoria e delle imprese, sul fatto che c’è un modo di consumare vino in maniera moderata che può e deve continuare. Sono fiduciosa che dopo il panico iniziale la situazione si normalizzi».
Lorenzo Germano
