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Tutte per l’8 marzo / Cristina Marello: «Produco un vino che parla di me, della mia famiglia»

«Fare vino è tutta la mia vita, è un rapporto viscerale. Tra i filari, sono felice: a volte mi arrabbio, sono stanca e mi viene la tentazione di mollare. Ma sono fiera di me. Finalmente ho realizzato il mio sogno: produco un vino tradizionale, che mi rappresenta», racconta Cristina.

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Tutte è un progetto speciale di Gazzetta d’Alba per la Giornata internazionale della donna: due redattrici e quattro collaboratrici del nostro giornale hanno raccontano altre donne, le cui storie hanno un significato: chi ricopre o ha ricoperto ruoli sul nostro territorio, chi ha lanciato iniziative innovative, chi segue strade inaspettate o chi ha semplicemente un vissuto da condividere.

Cristina Marello, produttrice di La Morra

«Rappresentano le radici più profonde, corporee e istintuali del femminile: l’archetipo di una natura libera e selvaggia»: è così che un vecchio racconto descrive le donne di Langa. Come tenaci, decise e legate in modo intrinseco alla terra dove sono nate.

Cristina Marello, di Cantine Prandi, ne è la dimostrazione. Classe 1998, oggi è una giovane donna che crede profondamente nel potenziale delle sue colline e vuole, attraverso il vino, raccontarne la storia e quella della sua famiglia. «La Langa? Per me è tutto», racconta Cristina. «Non potrei pensare di trasferirmi altrove. Fare vino, qui, è una scelta di vita. Per sentirti parte di qualcosa, devi trovare il tuo posto. L’ho trovato».

Nel suo sangue, c’è una storia iniziata nel lontano 1856, quando il bisnonno Teobaldo Prandi fondò la casa-cantina in centro a Barolo. È qui che le donne si presero cura dei bambini e delle faccende domestiche, ma anche dell’amministrazione e del commerciale. L’emblema delle donne di Langa, come vengono descritte dai grandi scrittori: acute, lavoratrici instancabili e sempre pronte a guardare al domani.

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Ma, negli anni Cinquanta, avvenne la vera svolta: i nonni Massimo e Marines, agricoltori consapevoli, acquistarono terreni a La Morra e piantarono un primo filare misto con Nebbiolo, Moscato, Dolcetto e Freisa. Volevano capire quale fosse la varietà migliore per il territorio. Alla morte di Massimo, l’azienda passò al figlio Giuseppe, enologo e pittore. Negli anni Novanta, Giuseppe smise di imbottigliare, iniziando a vendere il vino sfuso. «Proprio quando il Barolo ha iniziato il periodo di massima espansione, il nome Prandi smise di circolare», continua a raccontare Cristina.

È stata lei, quando aveva 21 anni, a riprendere in mano la storia: «Ho deciso di affiancare mio zio per rivendicare il nome di famiglia, imbottigliando ed etichettando il vino: il nostro è un prodotto troppo sincero per essere venduto sfuso».

Fin da bambina, Cristina aveva un sogno: fare la contadina. E lo ha visto sgretolarsi di nuovo quando, nel 2021, è morto lo zio Giuseppe: «Ho sofferto tantissimo. Mi sono sentita sola. Non volevo buttarmi in un progetto così grande solo con le mie forze ma, purtroppo, mi ci sono ritrovata e sono andata avanti».

Il destino, alla fine, l’ha portata qualche collina più in là: «Il mio percorso è stato deviato. Ed è così che oggi la tradizione Prandi prosegue a La Morra. Ho dovuto cambiare vita: ho lasciato la cantina di famiglia e ne ho acquistata un’altra. In questi anni, ho mai smesso di fare vino: sono stata una vinificatrice nomade. Ma finalmente, dalla prossima vendemmia, potrò produrre qualcosa di mio», dice, sorridendo.

Ce l’ha fatta, con fatica, rigore e perseveranza. Si è indebitata. Ha sbattuto la testa. Non si è fermata. È riuscita a creare un luogo dove dare vita ai suoi vini, simbolo della sua anima tenace.

«Fare vino è tutta la mia vita, è un rapporto viscerale. Tra i filari, sono felice: a volte mi arrabbio, sono stanca e mi viene la tentazione di mollare. Ma sono fiera di me. Finalmente ho realizzato il mio sogno: produco un vino tradizionale, che mi rappresenta. Non solo: racconta la mia storia e quella delle generazioni prima di me».

 Chiara Nervo

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