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Tutte per l’8 marzo / Paola Malvasio: «Nella sanità per noi la via resta più stretta, ma questa è l’ora di farci avanti»

All’ospedale Ferrero è arrivata tre anni fa, ancora una volta come direttrice di presidio. Lo scorso giugno, è stata nominata commissaria straordinaria dell’Asl, fino alla conferma. «Il nostro è l’ospedale più bello del Piemonte», dice, con l’orgoglio di chi si sente nel posto giusto.

Tutte per l'8 marzo / Paola Malvasio: «Nella sanità per noi la via resta più stretta, ma questa è l'ora di farci avantiÏ 1

Tutte è un progetto speciale di Gazzetta d’Alba per la Giornata internazionale della donna: due redattrici e quattro collaboratrici del nostro giornale hanno raccontano altre donne, le cui storie hanno un significato: chi ricopre o ha ricoperto ruoli sul nostro territorio, chi ha lanciato iniziative innovative, chi segue strade inaspettate o chi ha semplicemente un vissuto da condividere.

Paola Malvasio, direttrice generale dell’Asl Cn2

 

Direttore o direttrice generale? «È uguale, come preferisce». Paola Malvasio, dal 1° gennaio ufficialmente alla guida dell’Asl Cn2 – la prima donna a ricoprire questo ruolo nella storia del nostro territorio e una delle due oggi ai vertici delle aziende piemontesi –, non bada troppo alle formalità.

L’ha imparato sul campo. Ha appreso anche altro: non farsi fermare dalle difficoltà e non avere preconcetti, per esempio. «All’inizio ero la più giovane, chiamata a coordinare persone con molti più anni lavorativi di me. Quasi tutti uomini: s’immagini», comincia a raccontare. Dopo la laurea in medicina e chirurgia a Torino, ha lavorato per 16 anni al Mauriziano, dove è stata direttrice di presidio. Sono arrivate poi la direzione sanitaria al Santa Croce e Carle di Cuneo, e quella del privato Koelliker, di nuovo sotto la Mole.

All’ospedale Ferrero è arrivata tre anni fa, ancora una volta come direttrice di presidio. Lo scorso giugno, è stata nominata commissaria straordinaria dell’Asl, fino alla conferma. «Il nostro è l’ospedale più bello del Piemonte», dice, con l’orgoglio di chi si sente nel posto giusto.

Questa è la sua prima intervista da direttrice della Cn2: come si presenta?

«Come una persona che sa di ricoprire un ruolo di responsabilità e che si mette a servizio. I risultati purtroppo non si possono garantire, ma posso assicurare che metterò il massimo impegno per valorizzare l’Asl. È la mia prima volta in questo ruolo: mi sono candidata con convinzione, perché vedo tutte le qualità e le potenzialità del Ferrero. Non ho vissuto gli anni delle grandi battaglie e degli intoppi che hanno rallentato la struttura: il mio è lo sguardo di chi viene da fuori, libero dal peso di questa parte di storia. Percepisco un’attenzione forte della comunità verso l’ospedale: i suggerimenti e le critiche diventano il pungolo per fare meglio. Lo vedo nel rapporto con i sindaci, molto presenti. E nelle fondazioni, Ospedale Alba-Bra e Ferrero, che fanno parte di questo tessuto così peculiare».

Forse, dopo le fasi di ripresa dopo la pandemia, questo è davvero il momento giusto per fare crescere l’ospedale. Un compito non da poco.

«Bisogna puntare molto sulle risorse umane. L’ospedale evolve, ma non basta avere una struttura moderna. Serve promuovere la formazione, fare ricerca, sviluppare le competenze, essere attrattivi in generale. Oggi abbiamo 22 giovani specializzandi in ospedale, provenienti da diverse università italiane: non sono pochi, ma possiamo crescere ancora molto da questo punto di vista».

L'ospedale Ferrero di Verduno accoglie gli studenti di infermieristica che iniziano il tirocinio
Un momento nell’auditorium dell’Asl Cn2

A proposito di giovani, è difficile per una donna fare carriera in campo medico?

«Tra i nostri direttori, le donne sono in minoranza. È un dato di fatto quasi ovunque. Ciò che accade, nell’ultimo periodo, è che i giovani medici cercano modalità per esercitare la professione più concilianti con la propria vita. Accade sia per gli uomini che per le donne. Se pensiamo ad ambiti come la medicina d’urgenza, parlare di conciliazione è molto difficile: la reperibilità non è un optional, è intrinseca al lavoro. Per i giovani, che magari mettono su famiglia, avere un aiuto a casa diventa essenziale. Ci sono specialità, da questo punto di vista, più favorevoli. E se questo è il quadro generale, per le donne la via è ancora più stretta. Non esistono ruoli femminili o maschili. Ma, in ortopedia o in generale in chirurgia (per fare alcuni esempi), le donne sono poche. Forse anche per quella componente di forza fisica che, in passato, ha reso questi mestieri prerogativa degli uomini. Sono concetti ampiamente superati, ma i retaggi restano. Dall’altro lato, nelle facoltà la maggior parte degli studenti sono proprio donne. Ma, se guardo ai concorsi da direttori banditi in Asl, le candidate sono poche o nessuna. È il momento, per noi donne, di farci davvero avanti».

Esiste ancora una cultura legata al genere, quindi?

«C’è una cultura sulla quale bisogna lavorare. Anche in senso opposto: gli infermieri sono di meno rispetto alle infermiere, come se questo ambito sanitario fosse prerogativa femminile, mentre abbiamo bisogno di uomini, per il carico fisico a volte più elevato. Per quanto mi riguarda, ho una visione del tutto paritaria. Sono cresciuta in una famiglia in cui non esistevano differenze di genere: i miei genitori mi hanno insegnato così, fin da bambina, senza stereotipi di questo tipo per fortuna».

Lei ha figli?

«Una figlia di 27 anni. Non ha scelto la mia strada, forse perché ha visto quanto sacrificio implica (sorride, ndr). È un’architetta: vive e lavora a Parigi. Ammetto che la distanza si fa sentire».

Ma le è capitato di captare pregiudizi, in quanto donna?

«Eccome. Li percepisco ancora oggi: quando, in compagnia di qualche collega uomo, chi non ci conosce si rivolge a lui come direttore. O quando l’uomo è appellato come “dottore” e io come “signora”. A volte, soprattutto quando accade verso le giovani, ci può essere anche un discorso generazionale, ma è quasi sempre una questione culturale».

Come si affronta, ai giorni nostri, questa realtà?

«Si va avanti, anteponendo la propria competenza. Dobbiamo forse dimostrare di più rispetto agli uomini, nulla ci viene regalato. Ma, per la mia esperienza, posso dire che la strada si trova. Sono orgogliosa di essere donna».

Crede che una donna leader possa portare qualche valore aggiunto?

«Penso che conti la singola persona, con il bagaglio di successi e insuccessi che l’hanno portata a essere ciò che è in quell’esatto momento della sua vita. L’importante è essere autentici, con le proprie prerogative, e non aderire a modelli di comportamento. Trovo sgradevole e controproducente quando una donna imita la leadership tipicamente maschile».

Lei che cosa ha imparato?

«A mediare. Ciò che spero, invece, è di riuscire a supportare e stimolare chi lavora con me. Ho appreso anche l’importanza della comunicazione, a tutti i livelli: per questo, mi piacerebbe molto organizzare dei momenti d’incontro con la cittadinanza, per fare capire meglio la realtà della nostra Asl e dell’ospedale. A volte, anche in questo caso, restano troppi preconcetti».

 Francesca Pinaffo

 

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