IL RICORDO «Abbiamo assaporato per la prima volta la libertà nel ‘45. Eravamo i ragazzini cresciuti come figli della lupa e balilla. Andavamo a fare la marcia d’armi. I miei genitori soffrivano nel loro cuore, ma mio padre ripeteva che dovevamo stare zitti. Poi, finito il fascismo, abbiamo realizzato che finalmente potevamo parlare». Il ricordo è di Antonio Buccolo, fotografo albese e memoria storica.
La Liberazione, per lui, è una pagina viva. La racconta come l’avesse vissuta ieri, a partire dai dettagli: «Il suono delle campane sulla città è stato qualcosa di bellissimo, perché in quel momento tutti abbiamo capito che la guerra era davvero finita. C’erano anche spari in aria, per la contentezza. Era una gioia incontenibile». Riemergono anche i giorni e le settimane precedenti: «Ricordo bene la battaglia di Alba, avevo 10 anni e abitavo in piazza Duomo, allo stesso piano di Beppe Fenoglio. I partigiani sono scesi in città il 15 aprile: li immaginavamo in divisa da guerra. Ci siamo trovati di fronte a un’armata Brancaleone di uomini provati dalla dura vita in collina, con pochi approvvigionamenti e armi. C’erano anche le partigiane, uno scandalo per gli albesi, che mai avevano pensato che lassù ci fossero donne».
La battaglia, che si combatté proprio il 15, fu un momento chiave. Partigiani e Alleati tentarono di anticipare ciò che accadde con la Liberazione: «Ci è arrivata addosso. Quando hanno iniziato a sparare, eravamo tutti rifugiati nelle cantine. Nella piazza, sono stati diversi gli scontri, violenti. Mi tornano in mente i morti, li vedevamo». Tra un intervallo e l’altro, i ragazzini uscivano dal loro rifugio: «Eravamo incoscienti. Raccoglievamo i bossoli d’ottone delle armi da terra: pensavamo poi di venderli, per racimolare qualcosa».
Dieci giorno dopo, la guerra è finita. «C’è un ricordo per me molto brutto. Mi riferisco alla morte dell’attendente del maggiore Gagliardi (con l’altro capo fascista, Rossi, venne fucilato il 29 aprile al campo sportivo di Alba, ndr). Quell’uomo fu torturato, caricato su un carretto e condotto per la città, per poi ucciderlo, di fronte a tutte le persone: sono passati davanti a casa mia, non si può dimenticare. In tantissimi assistettero anche alla morte dei due capi. Erano responsabili di stragi e si invocava la vendetta. Ma quelle scene mi hanno sconvolto. Da sempre, mi considero contro la pena di morte».
Dall’eccidio nelle carceri di Alba nel ‘44 – «mio padre, guardia penitenziaria, me ne parlò anni dopo, perché fu un episodio troppo cruento» – a quell’albese che bruciò in piazza la foto di Mussolini dopo la sua caduta, Buccolo conclude con l’importanza della memoria: «Quando parlo di questi fatti ai giovani, li vivono come una storia lontana. Contro le destre di oggi e i loro tentativi di giustificare il fascismo, il passato è essenziale. Noi, la libertà, ce la siamo conquistata. Oggi, al contrario, si rischia di dare tutto per scontato: per questo, non si deve dimenticare ciò che è stato. Mai».
f.p.
