
ECONOMIA L’industria cuneese è vocata all’export. Nel complesso, nel 2024, sono stati esportarti prodotti manifatturieri per un valore di 10,7 miliardi di euro, in crescita del 5,5% rispetto all’anno precedente. Di questi, quasi 700 milioni (il 6,5%) hanno avuto come destinazione proprio gli Stati Uniti.
«Siamo preoccupati, ma il nostro è un sistema solido», dice il presidente Mariano Costamagna all’indomani dell’annuncio di Trump.
Come reagisce una provincia come la Granda, in cui l’industria è uno dei pilastri, a una batosta di questo tipo, Costamagna?
«È chiaro che non possiamo essere sereni, ma gli imprenditori sono sempre chiamati a cercare di riempire il bicchiere mezzo vuoto, affrontando le difficoltà con fiducia. Come Confindustria Cuneo, abbiamo messo in piedi una task force tecnica per consulenze sul tema per le nostre associate e per gestire gli impatti legati alle nuove misure. È stata anche attivata una sezione dedicata sul nostro sito, con le informazioni aggiornate».
Quanto sarà forte l’impatto sulla nostra economia?
«Direi che bisogna fare due tipi di ragionamenti. L’agroalimentare, in particolare il nostro vino, è un prodotto di alta fascia, legato a un consumatore già oggi con una buona capacità di spesa. A conti fatti, per un simbolo del made in Italy come una buona bottiglia di Barolo o Barbaresco, un acquirente americano potrebbe essere disposto a spendere anche 50 dollari in più. Potremmo applicare lo stesso discorso alle altre eccellenze italiane».
I rischi per la metalmeccanica
Per la metalmeccanica il discorso sembra diverso.
«È così, perché parliamo di un settore già in difficoltà, basti pensare all’automotive (si veda la pagina a fianco, ndr). Dall’altro lato, ci sono ambiti in cui le esportazioni dalla nostra provincia sono molto importanti, come per le nostre macchine utensili, molto apprezzate: i costi, in questo caso, sono decisamente più elevati rispetto a una bottiglia di vino e i dazi rischiano di incrinare tutto il sistema».
Lei ha alle spalle una lunga esperienza negli Stati Uniti (ha fondato nel 2005 la Fuel system solutions, quotandola al Nasdaq, ndr): come dovrebbero comportarsi, a questo punto, l’Italia e l’Unione europea?
«A livello di sistema, per tornare al discorso del bicchiere mezzo vuoto da riempire, credo che questo duro colpo possa risvegliarci da una sorta di torpore. L’im-
portante è che ci siano gli strumenti per affrontarlo. Perché sia così, dobbiamo ragionare non come singoli, ma come Europa, in modo coeso e senza contrapposizioni: solo in questo modo potremmo uscire da questa grave situazione. Serve una reazione forte e occorre fare fronte comune attraverso le negoziazioni. Le imprese non possono essere lasciate sole in questo scenario».
f.p.
