di Walter Colombo, inviato a Venezia
Venezia è una Mostra non un Festival e lo dichiara il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, che nella giornata di apertura dice: «La Biennale segue, cerca, esplora. Una ricerca incessante di nuove modalità espressive che rappresenta poi la vera bellezza dell’istituzione: non essere vincolati a schemi rigidi, ma essere sempre come dei sensori alla scoperta di territori inesplorati. Ciò comporta, nel caso della Mostra del cinema, il dover sostenere la qualità cinematografica in una prospettiva futura e nel senso proprio dell’arte. E in questo senso mi piace precisare che questa è una Mostra, non un Festival. E la Mostra si è impegnata, in questi ultimi anni, nel porsi in una posizione più aperta, come un transito libero di linde nuvole che ci porta alla speranza, la speranza del cielo in assoluto più blu».

Sorrentino non delude con La grazia
Con questa premessa, Paolo Sorrentino non delude la Mostra col suo film in concorso La grazia, lunghi applausi in sala per la prima, perfetto come sempre, dopo l’Oscar per La grande bellezza e il fragore e il successo di Parthenope presentato al Festival di Cannes l’anno scorso, torna al Lido, attesissimo; infatti per Sorrentino Venezia rappresenta il luogo della sua nascita cinematografica, nel 2001, col suo primo lungometraggio L’uomo di più, segnando una collaborazione lunga e fruttuosa con Toni Servillo, attore protagonista in quasi tutti i suoi film, che nella pellicola presentata quest’anno a Venezia interpreta il presidente della Repubblica italiana Mariano De Santis.

Nessun riferimento a presidenti esistenti, frutto completamente della fantasia dell’autore. Vedovo, cattolico, ha una figlia, Dorotea, giurista come lui. Alla fine del suo mandato, tra giornate noiose, spuntano gli ultimi compiti: decidere su due delicate richieste di grazia. Veri e propri dilemmi morali, che si intersecano, in maniera apparentemente inestricabile, con la sua vita privata. Mosso dal dubbio, dovrà decidere e, con grande senso di responsabilità, è quel che farà. Ma il film è anche una storia d’amore, amore paterno, amore civile, universale. È la storia di un presidente che riscopre il sentimento, e la figlia che sempre lo accompagna, interpretata dalla bravissima Anna Ferzetti, in un viaggio rivelatore attraverso l’Italia.
La sezione Orizzonti apre con Mother
La sezione Orizzonti viene aperta della regista macedone Teona Strugar Mitevska col suo film Mother, dove la madre è Madre Teresa di Calcutta, qui colta in un episodio personale immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale e interpretata da Noomi Rapace. Ambientato in India, a Calcutta, nell’agosto del 1948, Teresa, madre superiora del convento delle suore di Loreto, attende con ansia la lettera che le permetterà finalmente di lasciare il monastero e creare un nuovo ordine in risposta alla chiamata ricevuta da Dio.
E proprio quando tutto sembra pronto si ritrova di fronte a un dilemma che ne mette alla prova la fede e le ambizioni, in un momento di svolta importante della sua vita. Agnieszka, la suora designata a succederle, confida di essere incinta e di voler abortire. Madre Teresa è così costretta a confrontarsi con dubbi, fede e desideri personali, mentre fuori dilaga la carestia e dentro le mura del convento emergono domande esistenziali sul suo vero ruolo e sulla sua vocazione. Il film racconta una Madre Teresa prima che diventasse come la si conosce oggi; la ritrae trentasettenne e la pellicola ripercorre sette giorni della sua vita, instancabile e ambiziosa.

«Mi ci sono voluti esattamente venticinque anni per arrivare dove sono oggi e realizzare Mother, un film che rappresenta pienamente me e la persona che voglio essere: audace, coraggiosa e libera. Dato che ho raggiunto la mia libertà, offro anche a lei la sua. Madre Teresa era una madre, sì, ma per milioni di persone. Era severa, brusca, inflessibile, eppure materna ben oltre la nostra comprensione», ha dichiarato Mitevska. Alcuni dialoghi del film sono trascrizioni dirette delle interviste che la regista ha condotto con le ultime suore ancora in vita e testimoni del suo carattere durante la lavorazione di un documentario che ha girato a Calcutta proprio su Madre Teresa.
Mother è un film che fa riflettere, offre un punto di vista sulla santità, sulla femminilità, sulla sorellanza e anche sulla maternità. Un film che non ha convinto tutti, forse per la sua lentezza e per un ritratto della santa così lontana dall’immaginario comune. Di lei ricordiamo il sorriso buono, fino alla fine, ma prima di diventare la Madre delle Missionarie della Carità e di tutte le persone dimenticate, non viste, malate, prima delle guarigioni miracolose e del Nobel per la pace, prima della beatificazione e della santità, chi era veramente Madre Teresa? Forse la regista qualche risposta la riesce a dare al Lido.
Orphan di Nemes è in concorso
Il regista ungherese László Nemes sbarca a Venezia col suo Orphan, film in concorso, che narra di un bambino che fa i conti con la propria vicenda familiare e con sé stesso, entrambi specchi dei tumulti del XX secolo nel cuore dell’Europa. Budapest, 1957. Dopo la rivolta contro il regime comunista, il mondo di Andor, un ragazzino ebreo cresciuto dalla madre con narrazioni idealizzate sul padre defunto, viene sconvolto quando si presenta un uomo brutale che afferma di essere il suo vero padre. «Lo sfondo di Orphan nasce dalla storia della mia famiglia, che ha attraversato le devastazioni dell’Olocausto e la tirannia del regime comunista. Vicende che hanno plasmato il nostro presente e continuano a perseguitarci, mettendo persino in discussione il futuro della nostra civiltà», dichiara il regista.

László ha voluto creare un linguaggio cinematografico che permettesse allo spettatore di rivivere l’esperienza traumatica di un bambino, intrappolato tra la percezione di trovarsi schiacciato da un mondo minaccioso e un triangolo familiare che non riesce a comprendere esplorando un problema di oscurità interiore. Un film profondo, ben riuscito, coinvolgente e a tratti angosciante proprio per la capacità della pellicola di far immedesimare lo spettatore nel protagonista.
Il dramma palestinese
In questi giorni di festa e red carpet sfavillanti, Venezia non dimentica il dramma che si sta consumando in Medioriente, diventando faro per la Palestina. Il gruppo Venice4Palestina ha inviato alla Biennale, alla Mostra del cinema, alle sezioni indipendenti e ai professionisti dell’audiovisivo e della cultura una lettera che vuole essere un grido contro lo strazio di un genocidio compiuto in diretta dallo Stato di Israele in Palestina, chiedendo «di prendere una posizione netta su quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Affinché il festival del Lido non sia una triste e vacua vetrina e l’ennesimo grande evento impermeabile a tale tragedia umana, civile e politica; ma piuttosto l’occasione per far conoscere le storie e le voci di chi viene massacrato anche con la complice indifferenza occidentale, esortando tutti i settori della cultura a mettere in campo iniziative volte a informare e sensibilizzare sulla pulizia etnica, sull’apartheid, sull’occupazione illegale dei territori palestinesi, sul colonialismo e su tutti i crimini contro l’umanità commessi da Israele per decenni e non solo dal 7 ottobre».
In tutto questo non si possono dimenticare i 250 giornalisti palestinesi assassinati mentre documentavano i fatti riportati nella lettera e in pochissimi giorni, l’appello, ha superato oltre 1.500 firme tra cui molte star del cinema. La solidarietà al popolo palestinese sarà manifestata nell’atteso corteo Stop al genocidio – Palestina libera di sabato a Santa Maria Elisabetta al Lido, al quale parteciperanno anche numerose celebrità del cinema. Venice4Palestine ha esortato la Biennale e la Mostra anche a «interrompere le partnership con qualunque organizzazione che sostiene il governo israeliano, direttamente o indirettamente», e a ritirare l’invito ai due attori Gerard Bulter e Gal Gadot, per il loro sostegno alla condotta politica e militare di Israele, interpreti del film fuori concorso In the Hand of Dante, che comunque non saranno presenti al Lido. Quando l’arte si fa testimonianza, nessun conflitto può restare invisibile.
