
di Franco Chittolina per Agenzia giornali diocesani
POLITICA INTERNAZIONALE – Non se la passano bene i diritti in questi tempi confusi, non solo nei Paesi dove la democrazia non è di casa, ma anche dalle nostre parti, tanto in Italia che in Europa.
A ricordarcelo ci ha pensato la settimana scorsa il vicepresidente del Consiglio italiano e ministro degli esteri, Antonio Tajani, con quella frase che sarà bene non dimenticare, a proposito del mancato rispetto del diritto di internazionale da parte di Israele nei confronti della pacifica Flotilla in viaggio verso la Palestina: «Il diritto internazionale è importante, ma fino a un certo punto».
Una frase che non ci avrebbe stupito in bocca al suo collega vicepresidente, Matteo Salvini, e nemmeno in quella della loro “capa”, molto più attenta a non dire sempre quello che pensa, salvo quando le slitta la frizione e allora viene fuori un passato che non passa.
Ma sentire queste parole dal segretario di un partito di ispirazione liberale, rappresentato nel Parlamento europeo dal Partito popolare europeo, lo stesso di Ursula von der Leyen, alimenta cattivi pensieri, tanto sull’Italia che sull’Unione Europea.
Da sempre eravamo convinti che l’Unione Europea fosse un caposaldo del diritto, quello internazionale e quello intra-comunitario. Da qualche tempo abbiamo qualche motivo per dubitarne, come nel caso recente della mancata consultazione del Parlamento europeo da parte di Ursula von der Leyen su nuove dotazioni finanziarie per gli armamenti e sui suoi esondanti protagonismi in materia di difesa, con rischi di conflitti istituzionali, per non parlare delle diffuse infrazioni al diritto comunitario da parte degli Stati membri, non solo Ungheria ma anche altri, con l’Italia in prima fila.
E qui, ancora una volta, l’Italia si segnala come un “laboratorio” dove si rivisita il diritto, piegandolo alle convenienze politiche del momento, come nel caso del conflitto israelo-palestinese, con il nostro ministro degli esteri che si barcamena maldestramente tra le complicità del Governo con Israele e le più coraggiose responsabilità assunte dal ministro della difesa, non senza ricorrere al magistero prudente del Presidente della Repubblica, almeno quando serve di copertura.
Non è il caso di dissertare all’infinito su quali fossero i limiti delle acque territoriali dove poteva operare Israele, tanto sono chiari quei limiti per il diritto internazionale, in particolare con Israele che occupa abusivamente spazi non suoi, ma troppo ricchi di gas per non appropriarsene e per affidarli magari un giorno alla gestione amica di Tony Blair, vicino alla British petroleum (Bp) e forse, anche a questo titolo, membro del comitato per la pace “eterna” in Medio-oriente, creato e presieduto dall’altro spregiudicato affarista Donald Trump.
Che il governo italiano dalla vicenda palestinese non se ne esca bene lo dimostrano le ambiguità che lo segnano da tempo anche nell’Unione Europea, dove ha finora ostacolato le proposte di sanzioni ad Israele. Ha provveduto a riparare alle complicità del governo, e a salvare per quanto possibile l’onore dell’Italia, la grande mobilitazione della società civile italiana, scesa in piazza per invocare il rispetto del diritto internazionale, chiamata adesso a tradurre in proposte politiche le sue legittime proteste.
Purtroppo sulla tragica vicenda palestinese non è credibile la stessa Unione Europea che, giustamente preoccupata per la difesa del diritto internazionale a protezione della sovranità dell’Ucraina aggredita dalla Russia, non si è però espressa con la stessa necessaria chiarezza sul massacro in Palestina, come ancora avvenuto con il suo assordante silenzio sulla vicenda della Flotilla, bloccata da Israele lontano dalle sue reali acque territoriali.
Hanno salvato, almeno in parte, l’onore dell’Europa i governi di Spagna, Francia e Belgio e, fuori dall’Ue, del Regno Unito.
Troppo poco in Europa per riconquistare la fiducia dei cittadini scesi in piazza; niente da parte del governo italiano che ha preferito brandire minacce al diritto di sciopero, che rischia di diventare anch’esso “un diritto importante, ma solo fino a un certo punto…”.
A ben vedere è in gioco il futuro della Costituzione che, all’art. 11, ci vincola al rispetto del diritto internazionale: tra i buoni motivi per lo sciopero, questo bastava e avanzava.
