
di Maria Grazia Olivero
CERESOLE – La tinca gobba dorata di Ceresole sposa il riso Gigante Vercelli sotto l’egida di Slow food. Pare che, in questo 2025 tanto denso di tensioni a livello internazionale, i piccoli passi avanti e le collaborazioni costruttive si possano leggere solo nella dimensione locale. Ma andiamo alla nostra storia. «A partire dall’estate di quest’anno, quando le tinche di Ceresole hanno dato vita a minuscoli avannotti di pochi millimetri nelle risaie di Vercelli, occorreranno due anni per commercializzarle, visto che arriveranno a pesare circa un ettogrammo solo nella primavera 2027. Sì, perché le tinche sono un pesce a crescita lenta, davvero slow, un prodotto presidio dell’associazione creata a Bra da Carlin Petrini». Lo spiega Giacomo Mosso.
È l’allevatore di pesci d’acqua dolce che ha riportato alla ribalta una pratica arcaica, una tradizione contadina da cui la terra rossa, argillosa e riarsa del Pianalto di Poirino ha tratto linfa e possibilità di sussistenza nei secoli per i suoi abitanti.
Il Pianalto, come dice il nome, è un territorio di circa 400 chilometri quadrati, caratterizzato da lievi ondulazioni e un’altitudine superiore a quella della piana padana circostante, costituito dai Comuni di Poirino, Pralormo, Isolabella, Ceresole d’Alba, Cellarengo e Villanova d’Asti. Ancora oggi vi si contano circa 800 giornate piemontesi di acque ferme, le peschiere, tampe in piemontese, usate fino a qualche decennio addietro per l’irrigazione e per l’allevamento delle tinche, un reddito in più per la scarna economia d’un tempo non troppo lontano.
LA STORIA
L’agricoltura del Pianalto è stata infatti condizionata da sempre dall’insufficienza idrica estiva, che i contadini, prima di scoprire i pozzi irrigui nel tardo Dopoguerra, cercarono di risolvere attraverso gli invasi, utili a raccogliere le acque piovane, sfruttando l’impermeabilità di un suolo tanto argilloso da essere utilizzato anche per fare mattoni. Individuata una valletta o un declivio del terreno, lo si chiudeva con un argine in terra battuta: era la peschiera, indispensabile a man-
tenere le piogge primaverili e autunnali incanalate da fossi artificiali o già esistenti. Significava la possibilità di abbeverare gli animali, irrigare i campi, fare il bucato e pure allevare le tinche.
IL DOPOGUERRA
Come spiegano all’Associazione per il museo storico di Poirino, «la presenza della tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino, conosciuta e apprezzata per il suo valore alimentare ed economico, è comprovata da documenti risalenti al Tredicesimo secolo, che attestano come, tra le tante tasse che affliggevano la popolazione rurale di Ceresole, una imponesse la consegna di quantitativi variabili di tinche».
Dobbiamo compiere un salto a piè pari nella storia per arrivare negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando l’area depressa, tinca inclusa, comincia a scuotersi di dosso un antico destino e partecipa a suo modo al boom economico del Paese. Ma appena qualche decennio più tardi la vicinanza con Torino, oltre a uno scarno benessere, moltiplica anche le mire di chi vuole fare affari sul suo territorio: infatti, la marna rossiccia e argillosa, vitale per il nostro pesce d’acqua dolce, ben si presta a sotterrarvi i rifiuti della vicina metropoli.
IL PROGETTO
Così, nel 1994, dopo aver lottato insieme ai contadini di tenuta Palermo di Ceresole per difendere con le unghie e con i denti l’area da un’incombente discarica che avrebbe potuto inquinarne le falde, Mosso decide di avviare a cascina Italia l’allevamento e la commercializzazione della tinca gobba dorata del Pianalto di Poirino, la cui produzione era andata scemando. Un controcanto e una scommessa vinta, se oggi la sua impresa dà lavoro a quattro persone nella produzione ittica e nel laboratorio di trasformazione dei prodotti: dall’anguilla alle rane, dal salmone allo storione.
Fatte queste premesse, per tornare alla nostra vicenda, va affermato in primo luogo che la tinca gobba dorata e il riso Gigante Vercelli sono prodotti di pregio, divenuti presidi Slow food per la loro lunga tradizione da recuperare. Li ha fatti incontrare il Salone del gusto di Torino, dove – forza del destino – hanno casualmente diviso uno stand.
Mosso, che possiede sette peschiere, quattro delle quali attive, per un ettaro e mezzo di estensione, spiega: «La riproduzione delle tinche è stato un problema da sempre, ma con le recenti stagioni siccitose reperire gli avannotti è diventato un vero terno al lotto. Quando ho incontrato Maurizio Tabacchi, un agronomo dell’ente Risi di Vercelli, titolare di un’azienda per la produzione del pregiato cereale, lui aveva appena rilanciato la varietà Gigante. Così, tra una fetta di salame, una chiacchiera tra produttori e un buon bicchiere di vino, abbiamo impostato una collaborazione molto interessante, che mi auguro potrà avere ulteriori sviluppi».
L’INCONTRO
Per essere precisi, prima di questo incontro così fortunato con il riso Gigante Vercelli, Giacomo Mosso in passato aveva già conosciuto la realtà delle risaie. In particolare, era entrato in contatto con un anziano del posto, Ermanno Tortolone: gli aveva portato in risaia un centinaio di tinche, per ritirare qualche mese dopo quasi 50mila avannotti. L’ambiente
si era mostrato idoneo: le femmine depongono le uova in acque basse e ricche di vegetazione nel periodo compreso tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate, rilasciando decine di migliaia di piccole uova che così aderiscono alle piante acquatiche, mentre i maschi le inseminano. Che cosa accade dopo? Le uova schiudono – dopo circa quattro, otto o anche più giorni – e gli avannotti rimangono legati al culmo (il fusto) fino a quando non hanno assorbito il sacco vitellino, prima di potersi nutrire in piena autonomia.
I RISULTATI
Le tinche sono partite da Ceresole a giugno di quest’anno, per tre risaie coltivate a Gigante Vercelli. Si tratta per l’esattezza di 50 tinche femmine e 100 maschi (si riconoscono per le pinne più grandi). Spiega Giacomo Mosso: «Come racconto sempre a chi ascolta questa storia, parliamo di pesci particolari e molto esigenti. E hanno bisogno di due maschi per portare a compimento il ciclo riproduttivo».
L’avventura dei mesi scorsi, seguita di giorno in giorno nei minimi dettagli, è riuscita. Le tinche hanno deposto le uova sui fusti del riso e poco dopo hanno visto la luce i minuscoli esserini che a Vercelli sono cresciuti a plancton – l’insieme dei microrganismi che vivono nell’acqua – fino a fine agosto, quando le risaie sono state prosciugate per permettere la trebbiatura del riso. In quel momento, gli avannotti sono stati catturati tramite una serie di reti a trama fine. È stata una festa.
PRIMAVERA 2026
Mosso: «Erano circa centomila, misuravano pochi millimetri, con un peso da uno a 5 grammi. La nostra scommessa è riuscita, anche se alcuni dei riproduttori e delle femmine trasferiti da Ceresole sono andati persi. Va detto che meno del trenta per cento degli avannotti riusciranno a superare lo svezzamento. Ora li stiamo nutrendo a Ceresole in vasche con acque controllate, somministrando speciali mangimi, a grana finissima. In autunno inoltrato saranno in grado di entrare nelle peschiere, dove sverneranno. La tinca, con l’arrivo del freddo, cade in una sorta di letargo e non cresce».
E aggiunge: «Sarà quindi la primavera del 2026 a “svegliare” le piccole tinche, che potranno aumentare di peso solo nel corso dell’estate. Ci sarà, poi, un altro inverno da trascorrere, per arrivare alla primavera del 2027. Se tutto andrà bene, in quel momento avranno una stazza di circa un ettogrammo e potranno essere commercializzate».
Le tinche gobbe dorate di Ceresole sono utilizzate, quando se ne trovano, nei migliori ristoranti stellati di tutta Italia grazie all’opera di divulgazione di Giacomo Mosso mentre, per ironia della sorte, nel paese che si è caratterizzato per il loro allevamento non esiste più un locale che le proponga.
Per una partita vinta, peraltro, restano molti interrogativi aperti. Chiosa Mosso: «Negli anni, ho dovuto imparare il mestiere di allevatore di tinche, ascoltare gli anziani e consultare esperti, per rendermi conto che servono costanti investimenti e aggiornamenti. Ho inteso testardamente salvare la tradizione di un prodotto tipico per rimetterlo in commercio, comprendendo il motivo per cui è sempre stato considerato dai contadini un “di più” da sommare alle altre attività». Eh sì, le tinche di Ceresole sono davvero pesci slow, molto esigenti.