testi e immagini di Pierangelo Vacchetto
FONTANAFREDDA – Ieri sera, alla Fondazione Mirafiore, Aldo Cazzullo ha incontrato il pubblico per raccontare il suo ultimo libro Francesco il primo italiano e, attraverso di esso, la figura rivoluzionaria del santo di Assisi.
Rivoluzionaria, prima di tutto, già nel nome: Francesco, infatti, si chiamava Giovanni. Fu il padre a ribattezzarlo François, Francesco, per la sua passione per la Francia.

Cazzullo ha sottolineato la portata rivoluzionaria del messaggio francescano: «Nel Medioevo, quando tutto era gerarchia, Francesco afferma un principio che ancora oggi risuona come un atto dirompente: non esistono plebei o aristocratici, ricchi o poveri, uomini o donne. Siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli. Da questa idea nasce il nome stesso dei “frati” – una parola inventata proprio da lui, uomini che scelgono di andare tra la gente, predicare, curare i lebbrosi, condividere la preghiera della sera e il pasto».
Cazzullo ha ricordato anche un dettaglio di vita quotidiana: il primo cuoco della comunità, frate Ginepro, noto per le sue minestre e per il pasticcio di gamberi di fiume, piatto preferito del santo, insieme ai mostaccioli di farina, miele e mandorle.

Nel racconto del giornalista-scrittore emerge anche un’altra ribellione del santo: “La felicità è un dovere”, scritto nella Regola. Un dovere umano, non un privilegio. Una parte dell’incontro si è concentrata sul Cantico delle creature che si chiude con il rapporto con la morte che gli dà lo spunto per parlare delle nuove forme di “immortalità” inseguite da potenze e miliardari contemporanei.
«Non sono i buoni ad aver sognato l’immortalità», ha detto Cazzullo. «Oggi Xi Jinping e Putin così come Musk e Thiel sognano di essere immortali e vorrebbero caricare la coscienza su un chip da installare su cyborg destinati a vivere per sempre».
Uno scenario, secondo l’autore, non così lontano dal creare esseri post-umani, metà uomini e metà macchine con un computer al posto del cervello e la rete come memoria illimitata. Creature più intelligenti e informate di noi, «per questo serve l’umanesimo: a salvare l’umanità da sé stessa».
A un ragazzo che chiedeva cosa penserebbe Francesco del mondo di oggi, Cazzullo ha risposto che il santo sarebbe preoccupato per la società, ma affascinato dai giovani. E che, con lo stesso spirito con cui usava musica, danza e mimo, probabilmente oggi sarebbe presente sui social, «forse non come li usiamo noi».
Il giornalista ha però espresso due timori: la violenza verbale che prolifera nell’anonimato dei profili falsi («andrebbero vietati») e il rischio di vivere un’esistenza solo virtuale.
«La vita reale ci fa paura, ma è l’unica che abbiamo». E sul senso ultimo dell’esistenza, Cazzullo confessa: «Ogni speranza di vita dopo la morte non può prescindere dall’esistenza di Dio. Non un dio generico, ma il Dio della Bibbia, che ci conosce e ha misericordia di noi. Ci credo? Non lo so. Però ci spero».
Presenti in sala, oltre al vescovo Marco Brunetti e alcuni sacerdoti dell’albese, anche tre frati francescani, invitati da Oscar Farinetti a raccontare la propria scelta vocazionale.

Il primo ha parlato dell’impegno verso i poveri che lo ha sempre avvicinato ai frati. Il secondo ha confidato che «è stato Francesco a scegliere lui», quasi per sorpresa. Il terzo ha raccontato come, ogni volta, un aspetto del santo continui a colpirlo: ieri la capacità di presentarsi nudo al mondo, «in presa diretta con la fatica e la gioia dell’esistenza».

L’incontro, impreziosito da intermezzi musicali del maestro Porro al pianoforte quasi ad anticipare la serata del 24 marzo prossimo quando al teatro Sociale il racconto di Francesco sarà accompagnato dalle musiche di Angelo Branduardi, si è concluso con un lungo applauso, segno di quanto la figura di Francesco. e le riflessioni di Cazzullo, continuino a interrogare il presente.
