di Maria Grazia Olivero
ALBA – Quarant’anni e due figli, langarola, fa corsi di cucina tradizionale al castello di Roddi per l’ente Fiera, in una delle più affascinanti scuole italiane dedicata alla gastronomia del territorio. La nostra interlocutrice si chiama Anna Buganè e se le si domanda – trasportati dal suo entusiasmo – com’è nato il rapporto con il cibo che la contraddistingue, racconta la storia di una bambina: «La mamma era cuoca per passione, un talento riconosciuto che mi inorgogliva. Con me era severa, non mi faceva spadellare, ma una domenica, potevo avere otto o nove anni, mi ha permesso d’infarinare e rosolare il mio primo spezzatino… E io l’ho bruciato. Da quel momento, ho iniziato a sperimentare in cucina. La mia bisnonna paterna, Teresa, era invece un’apprezzata “sfoglina” di Marzabotto. A 15 anni, andava nelle case di famiglie altolocate a tirare la sfoglia a mano. Forse, in virtù di queste radici, nella mia famiglia il cibo è sempre stato importante, un argomento di conversazione e di vero rispetto».
Il territorio e la sua identità
Passando per molteplici esperienze professionali e di studio, Anna si è trovata a fare quel che più le piace: raccontare l’identità delle colline Unesco tramite la preparazione degli alimenti. «Gli stranieri», spiega, «amano mettere le mani in pasta: sì, come i bambini. Sono da noi perché vogliono entrare nel vivo del contesto del luogo e sentono che attraverso la cucina possono farlo. Così, mentre insegno a impastare i tajarin sulla spianatoia, mi piace raccontare loro che in queste Langhe, oggi così benedette, poco più di una manciata di decenni addietro si faceva la fame. E che i tajarin non venivano affatto realizzati con trenta o quaranta tuorli, ma con l’uovo rimasto alla donna contadina dalla vendita dei prodotti del pollaio».
Prosegue Anna, riflettendo sul successo della gastronomia: «In un mondo oggi troppo individuale, la buona cucina torna a essere comunità e la gente lo capisce: è un atto collettivo, fonte di inesauribili potenzialità. Mangiare è una scelta politica, a cominciare dall’opzione su come e dove fare la spesa, un fatto che ha anche ripercussioni sull’ambiente e sulla società che viviamo». Con una formazione passata dalla scuola alberghiera di Mondovì – «dove non mi sono specializzata in cucina, perché in quegli anni non pareva un lavoro per donne, per poi conoscere il mondo della ristorazione in ogni suo aspetto, dal lavaggio piatti fino al ruolo di sous chef» – Buganè si è costruita scegliendo piccole realtà, quasi sempre femminili, nelle quali ha potuto lavorare e raccontare.
Tanti progetti
È poi arrivata a un progetto nuovo: «Mi piace sentirmi “in costruzione”. Mi sto formando sui prodotti senza glutine, perché fatico a immaginare una tavola in cui non ci sia posto per mio figlio undicenne, celiaco. Per la prima volta vorrei creare qualcosa di mio, un luogo specializzato, a disposizione di una fascia di persone, magari a Benevello, il paese in cui oggi vivo». Una svolta? Anna: «In una zona florida come la nostra, c’è spazio per tutti, dal locale per la pausa pranzo allo chef pluristellato, passando per l’osteria. Ovunque si mangia e si sta bene; l’importante è non perdere di vista la coerenza con la propria proposta, oltre al rispetto per la materia prima, gli individui e la qualità. Il mondo della ristorazione locale sta compiendo una riflessione anche sui tempi di lavoro, che devono lasciare spazio alla vita degli addetti piuttosto che guardare, come si faceva negli anni ‘70-’80, al numero degli ospiti».
Infine – la domanda più insidiosa – qual è il piatto piemontese preferito? Per lei è il caponet, l’involtino di cavolo e salsiccia che ha insegnato a cucinare qualche giorno fa ai fortunati “allievi” a Roddi. Manco a dirlo, la maggioranza erano stranieri alla scoperta della bellezza e della tradizione di Langhe, Monferrato e Roero: attraverso parole appassionate e buon cibo, oltre a ottimo vino, hanno compreso il punto da cui questa terra è partita per la sua riscossa, iniziata appena poco più di una manciata di decenni fa.

