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L’albese Eugenio Tibaldi ha ideato una grande installazione per per la casa circondariale femminile di Rebibbia

Da inizio dicembre le due fenici realizzate con le detenute si illuminano ogni notte: sono state inaugurate alla presenza del presidente Mattarella

L'albese Eugenio Tibaldi ha ideato una grande installazione per per la casa circondariale femminile di Rebibbia
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Marcello Smarrelli, curatore artistico, ed Eugenio Tibaldi, artista e ideatore dell’opera (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

di Francesca Pinaffo

ARTELa fenice è una figura mitologica che appartiene a tutte le culture, dalla notte dei tempi. È il volatile dai colori infuocati che, con le grandi ali aperte, rappresenta la capacità di rigenerarsi. Anche tra le mura di un carcere. Dall’11 dicembre, due enormi sculture luminose a forma di fenice svettano dall’interno del perimetro del carcere romano di Rebibbia, visibili sia dall’interno che dall’esterno. Issate su pali alti otto metri, sono i simboli dell’umanità che c’è all’interno, del vissuto, del presente, delle speranze delle donne che hanno collaborato per realizzarle.

A unire tutto questo c’è la visione di un artista albese, Eugenio Tibaldi, classe 1977 e una ricerca che lo ha portato prima a Napoli e poi in molte altre città. Da alcuni anni vive a Torino e nel 2023 ad Alba è stato pittore del Palio. Un lavoro, il suo, che mette al centro ciò che la società tende a considerare marginale.

L’inaugurazione con Mattarella

Benu – così gli Egizi chiamavano la fenice e così s’intitola l’installazione permanente che ha ideato per la casa circondariale femminile di Rebibbia (la più grande in Italia), curata da Marcello Smarrelli – è l’esito di un percorso iniziato ad agosto del 2024, quando Tibaldi ha oltrepassato per la prima volta il muro di cinta.

È un progetto portato avanti dalle fondazioni Severino e pastificio Cerere, in collaborazione con Intesa San Paolo, per diffondere l’arte contemporanea all’interno degli istituti, per creare ponti tra il dentro e il fuori. L’iniziativa è stata patrocinata dal Ministero della giustizia e dal Dicastero per la cultura e l’educazione della Santa Sede, nell’ambito del Giubileo, che dal 12 al 14 dicembre si è rivolto proprio ai detenuti. E il 10 è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a inaugurarla.

«È stato un incontro profondo. Ha voluto visitare privatamente l’installazione, conoscerne i dettagli», commenta Tibaldi. «La cultura è il terreno migliore, più alto per costruire futuro, quindi recupero e rinascita», ha detto il presidente, ricordando come in Italia, salvo esempi virtuosi, la situazione delle carceri sia allo stremo.

Dal primo incontro ai laboratori

Riprende l’artista: «Conoscevo pochissimo la realtà penitenziaria. Come la maggior parte delle persone, pensavo che fosse altro rispetto a noi. Sono arrivato a Rebibbia con un’idea in mente: nel giro di pochi secondi, ho capito che bisognava ricominciare da capo». Il primo passo è stato un incontro con chi lavora nella struttura: la direzione, la Polizia penitenziaria, gli educatori. E, poi, con le detenute: «Mi avevano prospettato una partecipazione molto bassa, massimo una decina di persone. Alla fine del percorso, mi sono trovato tra le mani 62 elaborati. Il primo incontro è stato per presentarmi». Sono iniziati poi i laboratori, per un periodo di sei mesi: «Ho chiesto a ciascuna di abbozzare una figura per rappresentare di sé stessa il miglior pregio e il peggior difetto. Vicino, potevano descrivere, a parole, il loro lavoro. Ogni immagine e ogni scritto era così denso che mi sono preso tre mesi per rifletterci. Il mio compito era condensare tutto ciò che mi hanno espresso in due sole figure».

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Foto Lorenzo Morandi.

Tibaldi parla di simboli, di un codice come quelli medievali, tra fiori, fiamme, onde, il ventre di una donna incinta che caratterizza una delle due fenici. I tratti di entrambe ricordano i tatuaggi: «Si sono riconosciute». È solo allora che è iniziato l’allestimento, «altrettanto difficile, perché in un carcere installare pali, scavare e issare due sculture non è immediato, ci sono regole».

L’inizio di un progetto

L’esigenza primaria era che, oltre dall’esterno, le opere fossero visibili dalle celle. «Mi tormenta da sempre il fatto che la maggior parte dei miei lavori non sia fruita dalle persone che l’hanno ispirata. Questa volta è diverso», prosegue Tibaldi. Le due sculture si illuminano di notte, «il momento in cui in carcere si sente di più la solitudine». Non lo fanno in modo passivo, ma grazie all’energia prodotta da sei cyclette a disposizione delle detenute, che in questo modo continuano ad alimentare Benu.

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Foto Lorenzo Morandi.

«La più grande consapevolezza è stata rendermi conto che non ci sono differenze tra chi è dentro e chi è fuori. Siamo sempre noi. È stato intenso conoscere queste donne, vederle confrontarsi tra loro, le più giovani e le adulte, ciascuna con la loro visione. Questo progetto mi ha cambiato», aggiunge l’artista, che sta già lavorando a un libro, a un documentario e a una mostra per raccontare tutto ciò che sta dietro alle due installazioni.

«Ho sempre pensato alle mie opere come a macchinari che vanno avanti nel loro percorso. Questo proseguirà», conclude, mentre sta al contempo sviluppando altri progetti, come una grande installazione a Trenčín, in Slovacchia, Capitale della cultura europea 2026. Le fenici di Rebibbia nel frattempo sono sempre lì, pronte a illuminarsi ogni notte, messaggere di vita e di speranza.

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