
REPORTAGE Il 16 marzo un gruppo di attivisti di Assemblea in movimento ha organizzato un presidio itinerante sul tema della casa, con ritrovo davanti alla stazione di Alba. Un luogo simbolico per trasmettere un messaggio preciso: l’abitazione è un diritto di tutti, il caro affitti rende poco accessibili gli immobili alle fasce deboli e sempre più persone sono sprovviste dei sostegni di cui avrebbero bisogno. Servono più investimenti negli alloggi pubblici, in modo da limitare le liste d’attesa per chi ha diritto alla casa popolare, ma attende invano da anni. Occorre pure mitigare l’impatto della povertà – crescente – e ridurre la speculazione turistica, che vede i proprietari prediligere gli affitti brevi, perché più convenienti, sottraendo così spazi abitativi alla collettività.
I NUMERI
Il presidio si è svolto a pochi giorni dalla pubblicazione di dati che denunciano una situazione insostenibile dal punto di vista immobiliare. Secondo una ricerca pubblicata dal portale Openpolis a fine 2023, ad Alba sarebbero state 3.800 su 15mila le abitazioni non occupate. Sono lasciate vuote dai proprietari, che evitano di metterle in affitto perché temono morosità da parte degli affittuari: così quasi un immobile su quattro rimane privo di inquilini. Inoltre, secondo il portale di ricerca Immobiliare.it il prezzo medio al metro quadrato degli affitti a febbraio risultava volare in città a 8,90 euro, mai così alto nell’ultimo decennio: solo nel 2015 il prezzo si fermava a 6,80 euro. Significa che se dieci anni fa un bilocale da 50 metri quadrati costava 340 euro al mese di locazione, oggi ne vale quasi 450. Nel centro storico, poi, il valore raggiunge i 9,57 euro al mese, aggravando la situazione. La medesima dinamica si rileva per la vendita: nella zona di Santa Rosalia i prezzi superano i 2.700 euro al metro quadrato. Significa che un bilocale da soli 50 metri ha un valore medio di circa 135mila euro. Si tratta però di un dato sottodimensionato: navigando sui portali di ricerca immobiliare on-line, la richiesta per un bilocale nelle zone centrali supera i 150mila e in alcuni casi si arriva ai 200mila euro.
IL MUTUO
Secondo un’inchiesta pubblicata a marzo dall’Ufficio studi del gruppo Tecnocasa, in Piemonte il reddito netto annuo familiare è risultato in media pari a 34.125 euro. Ipotizzando di volere acquistare un’abitazione ricorrendo a un mutuo di 25 anni, al tasso medio stimato del 3,80 per cento, è possibile comprare una casa del valore massimo di 206mila euro, con una rata mensile di 852 euro. L’acquirente dovrà avere a disposizione un capitale iniziale pari al 20 per cento del prezzo dell’immobile e cioè almeno 41.200 euro, oltre al denaro per coprire le spese accessorie alla compravendita e all’accensione del prestito.
Considerando i prezzi del mercato albese, appare evidente come la possibilità di acquistare un’abitazione sia limitata a una fascia ristretta della popolazione. Come potrebbero raggiungere il sogno di un alloggio di proprietà una famiglia numerosa, monoreddito o con un lavoro precario, o le nuove generazioni che non hanno ancora costruito una carriera?
Un’altra recente indagine di Tecnocasa racconta come le compravendite immobiliari in provincia di Cuneo siano scese del 12 per cento a febbraio 2024 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, passando da un totale di 5.992 a 5.264. Sempre meno persone scelgono l’acquisto, sempre di più rimangono “bloccate” in meccanismi d’affitto. E, certamente, contano anche i tassi bancari elevati di questo periodo.
MARTINA
Così, Martina – una ragazza di 36 anni che ha appena firmato un contratto d’affitto a Magliano Alfieri – racconta come anche le locazioni presentino molteplici difficoltà: «I requisiti per essere presi in considerazione dalle agenzie immobiliari e dai proprietari sono sempre più restrittivi. Devi disporre di un contratto a tempo indeterminato, di uno stipendio di almeno 1.500 euro e possibilmente non avere figli. Io ho impiegato nove mesi a trovare un’abitazione. Non volevano darmela perché sono una madre single: il fatto che ho un bambino viene considerato un difetto, un punto a sfavore che mi rende una pagatrice di dubbia solidità. Non posso raccontare la tristezza e la difficoltà nell’affrontare un simile processo. Ti senti esclusa e anche discriminata».
IL RAPPORTO
La situazione ad Alba e nel Cuneese segue andamenti analoghi al resto della regione. La povertà pare crescere accanto al benessere, la casa diventa un privilegio accessibile con facilità a una percentuale di popolazione limitata, pure se significativa, costituita da chi percepisce stipendi elevati o può contare su ingenti patrimoni familiari. Per gli altri, i fragili, gli ultimi, anche i giovani, si profilano difficoltà. Sono queste le considerazioni emergenti dal rapporto 2023 della Caritas diocesana di Torino, pubblicato la scorsa settimana.
Abbiamo chiesto al direttore Pierluigi Dovis di condividere una riflessione. Le sue parole: «La criticità abitativa è trasversale ai vari territori e mostra percentuali analoghe in tutta la regione. Il primo problema riguarda la scarsa disponibilità di immobili popolari. In assenza di un’edilizia agevolata, molte persone che non possono permettersi nemmeno di pagare affitti “ordinari” finiscono per vivere in precarietà. Registriamo sempre più casi di individui che abitano in ruderi o in case rurali abbandonate. A livello numerico le cifre sono ancora basse, ma il fenomeno risulta in aumento».
ATC NON BASTA
Nel Torinese così come nel Cuneese si verifica inoltre un trend inedito, spiega Dovis: «Il 30 per cento delle persone che si rivolgono ai nostri sportelli Caritas chiede aiuto per la casa. Tra questi, l’85 per cento ha bisogno di supporto per pagare l’affitto. Il fatto singolare è che non si tratta di canoni relativi ad abitazioni di proprietà privata, ma di immobili dell’Agenzia territoriale per la casa che si occupa di edilizia agevolata». Le case popolari, invece di rappresentare un aiuto, diventano onere.
Un secondo elemento critico, aggiunge Dovis, riguarda il fatto che «molte persone – soprattutto immigrati – che hanno un contratto di lavoro regolare, in molti casi a tempo indeterminato, non riescono a trovare alloggio perché i prezzi sono troppo elevati o le abitazioni disponibili sul mercato sono davvero poche rispetto al fabbisogno. Infine, aumentano nuclei di nazionalità italiana in una grave situazione di impoverimento. A causa della caparra troppo elevata o degli affitti elevati, queste famiglie rimangono escluse dal diritto all’abitare». Secondo Dovis, le pur lodevoli iniziative pubbliche e private finalizzate a facilitare l’accesso al-
l’abitazione attive nei vari territori non sono sufficienti a risolvere i problemi e a fornire risposte sicure. Il sistema è dunque deficitario.
Prosegue il direttore della Caritas piemontese: «Questo scenario è aggravato dalla difficile situazione sociale. In alcune aree periferiche la sicurezza percepita è molto bassa, le persone non vogliono prendere casa in zone ritenute pericolose, soprattutto i nuclei con bambini o anziani al loro interno».
Maria Delfino
Quando lo stipendio è povero
Prosegue il direttore della Caritas torinese Pierluigi Dovis: «Per il futuro, dovremmo predisporre un piano pubblico-privato, consentendo il turnover nelle case popolari – in modo da fare ruotare gli inquilini –, liberando così posti per le famiglie più fragili e accompagnando le altre in percorsi di progressiva autonomia. Inoltre, un tema cruciale riguarda l’iter della legge regionale per la revisione delle Atc, in modo da consentire a questi enti di evolvere, reperendo le risorse sufficienti a eseguire le necessarie manutenzioni sugli immobili già disponibili».
IL SISTEMA
Insomma, il sistema appare in estrema sofferenza. La causa, conclude Dovis, è «l’assetto sociale ed economico nel suo complesso, con la progressiva riduzione dei redditi da lavoro. Prima i salari proteggevano le famiglie, consentendo una maggiore serenità sul fronte abitativo. Oggi il 25 per cento delle persone che chiedono aiuto ha un lavoro con contratto a tempo indeterminato. La povertà della remunerazione è talmente grave che essere occupati e percepire uno stipendio non è più sufficiente».
Le stime diffuse dall’Istat lo scorso ottobre, riferite al 2022 e riportate da Caritas italiana nell’ultimo report Tutto da perdere, evidenziano come in Italia vivano in situazione di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie: si tratta di 5,6 milioni di individui. Nel 2022, inoltre, vivevano in condizione di indigenza il 13,4 per cento dei minori. A questo si aggiunge il dato relativo alla miseria derivante dall’impiego sottopagato: circa 2,7 milioni di persone (11,5 per cento), malgrado lavorino, sono a rischio di povertà. La situazione è più grave per gli stranieri: quasi un quarto di loro rivelano situazioni molto difficili.
LA RIFLESSIONE
Antonella di Fabio, referente dell’Osservatorio delle povertà e risorse Caritas di Torino, spiega: «L’osservazione, seppur corredata dall’impegno di denuncia di una società ingiusta, non avrebbe senso se la lettura del dato non suscitasse la riflessione profonda sulle domande che i poveri, gli impoveriti, i disperati, i disillusi rivolgono e se non ci si interrogasse su quali risposte si sia o meno in grado di fornire».
m.d.
