
SANTO STEFANO BELBO si prepara a festeggiare Cesare Pavese, con il festival in programma dal 2 al 9 settembre e il premio che quest’anno verrà frammentato in due diverse date (domenica 8 e venerdì 13 settembre). Il tema è «Vivere senza scrivere non vivo», frase tratta da una lettera di Cesare Pavese del 16 giugno 1950 e anche quest’anno il Pavese Festival si distinguerà per la varietà delle proposte, dalle presentazioni di libri alla musica ai film, dai laboratori per bambini ai workshop per gli adulti, con una forte componente legata al mondo del podcasting e dell’innovazione culturale.
Tra gli ospiti Stefano Nazzi, Pablo Trincia, Neri Marcorè, Pacifico, Vera Gheno e Isabella Ragonese. Il premio letterario sarà invece consegnato a Dacia Maraini, Michele Cortelazzo, Silvia Pareschi, Antonio Sellerio e Martin Rueff (che avrà un incontro dedicato il 13). Il programma completo è disponibile sul sito fondazionecesarepavese.it, dove è possibile anche prenotare e acquistare i biglietti.
Stefano Nazzi, giornalista, è autore del celebre podcast Indagini, prodotto dal quotidiano Il post e dedicato al percorso investigativo e processuale di omicidi e delitti. Sabato 7 settembre, alle 18.30, sarà in piazza Umberto I con Lorenzo Baravalle per presentare il libro Canti di guerra (Mondadori). Lo abbiamo intervistato per conoscere i retroscena del suo successo.

Nazzi, perché tutto questo interesse per il true crime?
«C’è sempre stato, è un interesse che nasce dalle cose che sembrano più lontane e che cerchiamo di capire, anche per averne meno paura. Io non credo tanto alla questione della morbosità».
Nell’intro di Indagini sottolinea di essere un giornalista, che futuro vede per il settore?
«La carta stampata ha perso il dominio incontrastato che aveva, così come la Tv generalista in altri ambiti. Questo non vuol dire che un mezzo sparirà o che un altro sarà fagocitato: l’offerta sarà sempre più bassa. Il problema, per quanto riguarda l’informazione, è quello dell’autorevolezza e della autenticità di ciò che si ascolta e si legge».
C’è qualche vicenda su cui vorrebbe tornare?
«Ci sono i casi tutt’ora irrisolti, uno fra tutti la scomparsa di Emanuele Orlandi. È quello che ti lascia alla fine più allucinato. Mi chiedo come si farà mai a tornare a una lettura razionale con tanta sovrastruttura che è stata creata e che continua con le audizioni nella commissione bicamerale. Ognuno dice la sua e se ognuno va in una direzione diversa: di quella storia se ne riparlerà.
Lei ha una pista preferita?
«No, però non credo minimamente, ma oramai più nessuno, al sequestro per la liberazione di Ali Ağca».
Scrivere Cronache di guerra ha comportato un lavoro diverso?
«È un lavoro simile di documentazione e di racconto, cercando di essere il meno spettacolarizzato possibile. È la storia di un mondo, quello della criminalità milanese dagli anni ’70 agli ’80. Sentendo le discussioni sulla sicurezza percepita ho voluto raccontare com’era Milano tanti anni fa e c’è un abisso. C’era una media di quasi centocinquanta omicidi l’anno, mentre l’anno scorso sono stati diciannove. Noi forse ce ne scordiamo».
Che relazione ha con la letteratura e Pavese?
«Con la letteratura un rapporto di amore e di passione, perché per scrivere devi leggere. Ci sono delle figure della nostra cultura che superano i confini delle parole, nel senso che riescono a utilizzarle in modo straordinario e Pavese è uno di questi. Quindi è un onore essere a Santo Stefano Belbo».
Lorenzo Germano
