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Da Beirut a Narzole, l’esperienza della cooperante Virginia Sarotto

Da Beir
Virginia Sarotto

NARZOLE Venerdì 11 ottobre a casa Balocco si è svolta una serata di quelle che ti entrano dentro e ti cambiano, che tu lo voglia o no.

Virginia Sarotto, cooperante della Ong Arcs culture solidali che segue progetti nelle zone attualmente martoriate dalla guerra, attivista e appena rientrata da Beirut, ha catalizzato l’attenzione sull’attuale situazione in Medio oriente e in particolar modo sul Libano, un paese complesso e multiculturale.

Sarotto è laureata in filosofia a Torino e in relazioni internazionali a Bologna, ha iniziato a lavorare come ricercatrice all’Università di Bologna e come operatrice sociale in una struttura di accoglienza per persone rifugiate e richiedenti asilo. Attivista per i diritti umani, nel 2018 è entrata nel coordinamento dell’associazione Hayat a Bologna, che sviluppa progetti socio-educativi e culturali tra Italia e Turchia. Dopo 4 anni di lavoro di comunità e coordinamento di diversi progetti con Hayat, nel 2023 si è trasferita in Libano per svolgere il servizio civile con Arcs Arci culture solidali, dove ha lavorato a progetti educativi, per promuovere e supportare lo sviluppo economico, per la protezione dei diritti umani e il benessere delle comunità più vulnerabili e marginalizzate.

Durante la serata, l’attivista ha tracciato un profilo della città di Beirut dove attualmente lavora e risiede e si è concentrata in particolar modo sulle ultime due settimane prima di partire il 2 Ottobre per fare ritorno, momentaneamente, in Italia.

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È necessario però fare un passo indietro, proprio come ha fatto Virginia a inizio intervento, per comprendere meglio la situazione partendo dalle basi e l’attivista lo fa utilizzando un linguaggio semplice ma efficace, con termini corretti e chiari onde evitare fraintendimenti e condizionamenti mentali di cui a volte nemmeno ci rendiamo conto.

Beirut è una città segnata da profonde crisi politiche ed economiche, ulteriormente aggravate dall’esplosione del porto nell’agosto 2020. Le difficoltà sociali ed economiche si sono fatte sentire ancora più intensamente negli ultimi anni, con la popolazione libanese che si è trovata a fronteggiare condizioni di vita sempre più precarie. La povertà crescente, l’inflazione dilagante e la mancanza di servizi di base hanno reso la vita quotidiana una lotta per milioni di persone.

Il racconto si focalizza sul 7 ottobre 2023 quando si assiste ad una nuova fase della guerra, non all’inizio di una nuova guerra, come viene invece comunicato dai media. Sarotto ribadisce come la guerra sia in atto da circa 76 anni, e la definisce come un “progetto coloniale Israeliano”.

Quindi è sbagliato tacciare l’atto del 7 ottobre come il principio di un conflitto, perché non è mai stata raggiunta la pace. In questa data i miliziani di Hamas, uscendo dalla striscia di Gaza attaccarono di sorpresa il territorio di Israele uccidendo civili israeliani e militari e facendo prigionieri, successivamente nascosti entro la striscia di Gaza. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu dichiarerà che Israele si trova in stato di guerra e risponderà militarmente all’aggressione.

Hezbollah sosterrà a sua volta Hamas lanciando missili su Israele colpendo target militari sulla zona contesa.

A questo punto la situazione già critica tra Israele e Libano sfocia in tensioni che degenereranno in un conflitto proprio a causa dal supporto di Hezbollah all’azione di Hamas.

Ricordiamo che Hezbollah è un movimento politico-religioso libanese, un’organizzazione paramilitare islamista che si pone al momento come unico fronte rivoluzionario in Libano nei confronti di Israele, al netto delle azioni terroristiche che l’organizzazione ha perpetuato in questi anni di scontri.

Virginia ci tiene a sottolineare come criticare Israele non significhi per lei e tantomeno per la maggior parte dei libanesi, intesi come tali e quindi riconducibili a diverse religioni, estrazioni sociali, background ed età, essere dalla parte di Hezbollah, ma soltanto di identificare in maniera lucida e veritiera quello che sta accadendo in Libano e cosa Israele sta perpetuando da tempo.

Da Beirut a Narzole, l'esperienza della cooperante Virginia Sarotto

Il Libano è una Repubblica di quasi 7milioni di abitanti di cui 2milioni rifugiati, 1milione e mezzo di siriani registrati ufficialmente che sono nel paese dalla guerra siriana del 2011 e mezzo milionedi palestinesi che dal’48 soni sparsi nei vari campi presenti nel paese, ormai diventati veri e propri quartieri. All’interno dello Stato sono riconosciute almeno 18 confessioni religiose, rendendo il paese cosmopolita e multietnico, affascinante e conflittuale al tempo stesso.

  • Dal 75 agli anni 90 il Libano vive una guerra civile sulla quale si riflette la questione israelo-palestinese a causa della presenza sul territorio dei capi dell’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dopo la loro espulsione dalla Giordania per l’opposizione al progetto politico di Israele.
  • Nel ’78 c’è una prima invasione del Libano da parte di Israele.
  • Nell’82 una seconda invasione.
  • Nel 2006 la terza, che precede quest’ultima.

L’attivista usa volontariamente la parola invasione, a differenza di quanto spesso comunicato dai social. Virginia sottolinea come un’azione armata oltre i confini di un altro stato non possa essere definita altrimenti, non possono esserci due pesi e due misure in base a chi compie cosa.

Nel 2019 le persone comuni sono scese in piazza tentando una Rivoluzione attraverso una manifestazione intergenerazionale che chiedeva venisse eliminato il sistema confessionale e settario che caratterizza ancora oggi il Libano. Una delle piaghe che attanaglia il paese è indubbiamente la classe politica che da anni è caratterizzata per regolamento, come da accordi di Ta’i da assegnazioni a gruppi religiosi. Il presidente delle Repubblica è inesistente da 2 anni ma in passato la carica è sempre stata coperta da un cristiano maronita. Il presidente del Parlamento è sempre stato di fede musulmana sciita e il primo ministro è sunnita.

Il popolo chiedeva uno stato che li tutelasse come libanesi senza associazioni religiose, onde evitare che le cariche politiche facessero gli interessi del proprio gruppo finendo in una devastante corruzione.

Purtroppo la rivoluzione fallì per diverse motivazioni, a partire dalla mancanza di un progetto politico comune, per il periodo storico in cui avvenne, in piena pandemia, e a causa di una crisi economica che tutt’ora strozza il paese in una dura morsa difficile da contrastare.

4 agosto 2020 esplosione del porto di Beirut, una delle più terribili esplosioni non-nucleari mai avvenute sulla Terra. Non verranno mai definiti i responsabili dell’attacco e la paura dilagante spinse molti giovani a cercare rifugio oltre i confini del Paese.

Virginia riprende il discorso partendo dalla situazione drasticamente tracimata nelle ultime due settimane. Il sud e il nord est del Libano sono le zone più sottoposte a bombardamenti. Il nord, con maggiore presenza cristiana, tranne a Tripoli dove la comunità sunnita è rilevante, è un luogo più sicuro.

L’attivista vive momenti estremamente stressanti nella città, ben impresso il ricordo del suono delle bombe che risuonano nell’aria di Beirut innescando uno stato d’ansia costante, alla ricerca di informazioni circa la salute delle persone coinvolte nelle zone di guerriglia. Fioriscono app dove poter verificare dove avvengono gli attacchi.

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C’è anche una componente di coercizione mentale, droni israeliani che costantemente sorvolano i quartieri di Beirut, volontariamente visibili e udibili, come una presenza costante nella vita degli abitanti che si sentono sotto assedio, controllati, minati e minacciati nella loro quotidianità.

I bombardamenti Israeliani, per richiesta degli americani, non possono coinvolgere le infrastrutture, affinchè i cittadini a stelle e strisce possano poter far ritorno a casa. Loro e tuttu i privilegiati che hanno un passaporto che consenta la fuga dal paese sotto assedio.

Proprio su questo punto Virginia si sofferma. Non ci sono diritti che non sono tali se non sono di tutti, perché se i diritti non sono di tutti allora si chiamano privilegi. Non è una colpa che qualcuno abbia un privilegio, ma è sbagliato sia tale, quando invece dovrebbe essere un diritto.

I diritti umani devono valere per tutti, non soltanto per una certa parte della popolazione.

Così come le parole, genocidio, vittime, invasione, atti di terrorismo, devono essere usati in egual modo e misura per tutte le zone della terra. Non possono esserci dei sinonimi a seconda delle parti coinvolte.

Ilan Pappé, storico e accademico ebreo israeliano cacciato dal suo paese, considerato un traditore dai suoi connazionali, da anni denuncia le discriminazioni verso i palestinesi. Un’immagine che circola sui social riporta una sua citazione: bisogna essere con la Palestina non per difenderla (lo fa da sola, da sempre) bisogna essere con la Palestina per difendere tutto quello che merita di essere chiamato libertà. La sua lotta riguarda anche la doppia morale che ha sviluppato l’occidente rispetto alla Palestina, ponendo a paragone altre guerre e all’approccio mediatico con il quale viene gestita non solo l’informazione ma la cultura in generale.

Sarotto, al pari dello storico, sottolinea l’attenzione che bisogna porre nell’uso che viene fatto del lessico e porta ad esempio le parole antisemitismo e antisionismo.

L’antisemitismo, termine spesso abusato in contesti sbagliati indica l’odio su base razziale rivolto verso il popolo e la cultura ebraica, mentre l’antisionismo è l’opposizione a un progetto politico che ancora oggi vìola i diritti umani e le convenzioni internazionali.

Un gruppo di intellettuali ebrei ha scritto una lettera aperta per respingere l’idea che criticare Israele sia antisemita.

L’antisemitismo viene usato per oscurare la realtà dell’occupazione e negare la sovranità palestinese, arrivando a giustificare i continui bombardamenti su Gaza e mettere a tacere le critiche della comunità internazionale.

Essere antisionisti significa opporsi all’ideologia politica del sionismo, che ha portato all’espulsione di 750.000 palestinesi indigeni dalla loro terra e dalle loro case. Significa opporsi alla creazione di uno Stato-nazione con diritti esclusivi per gli ebrei al di sopra degli altri sulla terra. L’antisionismo sostiene la liberazione e la giustizia per il popolo palestinese, compreso il diritto al ritorno alle proprie case e alla propria terra. Gli antisionisti credono in un futuro in cui tutti i popoli della terra vivano in libertà, sicurezza e uguaglianza.

Confondere l’antisemitismo con l’opposizione alle politiche o all’ideologia del governo israeliano è particolarmente pericoloso in questo momento, e contribuisce a evitare allo stato israeliano di rispondere delle sue politiche e azioni che violano i diritti umani dei palestinesi.

Viene sottolineato, dietro domande dei presenti, come il coinvolgimento dell’Onu in Libano (Unifil) sia limitato ad una missione di osservazione non interventiva in quanto vincolato da un accordo del 2006, firmato in cambio della negoziazione tra Israele e Hezbollah.

Viene inoltre sottolineato il coinvolgimento dell’Europa e dell’America, come prime responsabili del perpetuarsi dell’attuale situazione bellica, attraverso la vendita delle armi a Israele, al pari dell’Iran che viene riconosciuto come il braccio che arma Hezbollah.

Il rientro di Virginia Sarotto in Italia segna la fine di una missione, ma non della sua attività. Il suo impegno a favore dei più deboli continua, con l’obiettivo di sensibilizzare e mobilitare risorse per le comunità in crisi, sia in Libano che in altre parti del mondo.

La serata organizzata a Narzole con la mediazione di Luca Giachino è uno dei primi tasselli per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi della cooperazione, della sostenibilità e dei diritti umani, sperando di coinvolgere sempre più persone in questi importanti processi di cambiamento.

È stata un’esperienza intensa, una grande opportunità andare oltre il racconto mediatico, per prendere consapevolezza di cosa sta accadendo e capire che il futuro degli altri è legato al nostro e il cambiamento deve iniziare anche da ciascuno di noi.

Barbara Torta

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