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L’addio a Pippo Baudo / Quella volta ad Alba all’Infinity festival

TELEVISIONE – È morto sabato sera 16 agosto, in ospedale a Roma, all’età di 89 anni Pippo Baudo. Simbolo della tv italiana, ha condotto tredici festival di Sanremo e decine di programmi di grande successo, da Canzonissima a Domenica in.

Nato a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936, Baudo ha conquistato l’affetto del pubblico con Settevoci (1966-70) e Canzonissima (1972-73), raggiungendo poi il grande successo negli anni Ottanta con programmi come Domenica in (1979-85, 1991-92), Fantastico (1984-86 e 1990), Serata d’onore (1983, 1986), oltre al rapporto speciale con il festiva di Sanremo.

Ha raccontato la sua lunga carriera nell’autobiografia Ecco a voi. Una storia italiana, scritta nel 2018.

Nel 2021 il riconoscimento del suo lavoro, con il titolo di cavaliere di gran croce dell’ordine al merito della Repubblica Italiana.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e siciliano come lui, addoloratom ricorda la professionalità, la cultura, il garbo e la straordinaria capacità di interpretare i gusti e le aspettative dei telespettatori italiani.

Era stato ad Alba nel 2011 ospite del film festival Infinity, riproponiamo l’intervista pubblicata in quell’occasione.

L’intervista di Gazzetta, era il 2011

Non è un caso che nel 150° anniversario dell’unità d’Italia l’Alba international film festival abbia avuto come ospite d’onore Pippo
Baudo, storico conduttore televisivo che ha perseguito per molti versi l’obiettivo di «fare gli italiani» attraverso i suoi programmi.

Lui stesso ha dichiarato di voler rendere la televisione «nazional-popolare»: l’ha fatto curando i “riti” televisivi del sabato sera e della domenica pomeriggio, con cui intratteneva i primi telespettatori della rete nazionale parlando l’italiano corretto e mai troppo difficile, che è arrivato così in tutte le case.

L'addio a Pippo Baudo / Quella volta ad Alba all'Infinity festival
Giorgio Simonelli e Pippo Baudo

Di questo linguaggio televisivo, ormai parte del passato, e della televisione di oggi, più dispersiva e varia, Baudo ha parlato con lo storico televisivo Giorgio Simonelli, sul palco dell’auditorium della fondazione Ferrero, venerdì 3 giugno 2011. Una serata che ormai da tradizione il festival albese dedica all’analisi della televisione, e che nella sua decima edizione ha voluto intitolare “Unità nazionale e televisione popolare”.

Ha parlato del Basic, il linguaggio usato oggi sul grande schermo, che vi permette di usare solo alcuni termini. In quale altre forme
la televisione è limitata rispetto al passato?

«La televisione attualmente è fatta solo per gli addetti ai lavori, anche nell’informazione. Se il telegiornale spiegasse le notizie, arriverebbe molto di più al pubblico. Senza fare graduatorie o differenziazioni, i telegiornali in genere hanno un linguaggio criptico; ti dicono che si deve riunire il Consiglio dei ministri ma non ti spiegano cos’è. Avrei voluto condurli io, con quattro fogli di giornale in mano: cercando di spiegare semplicemente quello che è successo. Lo sta facendo, con grandi risultati, Mentana.
Con lui il telegiornale di La7 è passato dal due per cento degli ascolti al 12 per cento. Un salto enorme».

In questo senso l’informazione italiana è poco adatta alla televisione “nazional-popolare” che vorrebbe lei?

«Certo. Parlare difficile è facilissimo. Il bello sarebbe esprimere concetti forti e importanti con un linguaggio che tutti capiscono. E alla fine andrebbero a letto tutti più contenti, più “imparati”».

Il rimprovero che lei fece ai calabresi, riguardo al loro comportamento verso gli immigrati, può essere comparato all’intervento
di Celentano ad Annozero, sul nucleare. Per voi “intoccabili” dello spettacolo intervenire in circostanze tanto delicate è d’obbligo o sconveniente?

«È chiaro che intervenendo su argomenti a sfondo politico il pubblico viene diviso, e magari qualche ammiratore che non la pensa come te perde un po’ di stima nei tuoi confronti. Ma questo dimostra il coraggio enorme che ha avuto Adriano Celentano ad Annozero. Queste riflessioni sulle centrali nucleari lui le esprime da anni, non come scienziato, ma come poeta, come uomo emotivo che, con grande coraggio e umiltà intellettuale, esprime i suoi dubbi verso l’utilizzo dell’atomo. Adriano mi è piaciuto
molto ieri sera: noi del nucleare non sappiamo nulla e  nessuno può dirsi totalmente preparato sul tema, nemmeno gli scienziati. La fusione fredda, che è l’unica cosa che salverebbe il nucleare, facendolo diventare pulito, non è mai riuscita, anche se sono
anni che provano a ottenerla. Questo è un grosso ostacolo, perché con la “fissione” i risultati sono quelli che abbiamo
visto fino a ora».

Che cosa le piace guardare in televisione?

«Report mi piace moltissimo:  la Gabanelli è molto coraggiosa.  E Rai3 fa un’informazione molto bella. Non è tutto da buttare, c’è qualcosa di buono. Ma si deve costruire  molto di più perché i canali sono tanti e il pubblico sta diminuendo, non dimentichiamo
che oggi su 60 milioni di italiani tre sono stranieri e non guardano la nostra televisione. Parliamo ancora in termini antichi, ma fare dieci milioni di ascoltatori oggi è difficilissimo».

Chiara Cavalleris

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