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Striscione choc contro l’immigrazione rimosso a Bra

Apparso all’alba in piazza Caduti di Nassiriya, è stato tolto dai Carabinieri

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di Valter Manzone

BRA – Il primo ad accorgersi della sua presenza è stato un operatore del bar della stazione, stamani (sabato 23 agosto) poco prima delle sei, mentre si recava al lavoro. Un mega striscione con la scritta in nero «Basta feccia d’importazione. Remigrazione (termine evidenziato in rosso) unica soluzione» era stato affisso alla cancellata di piazza Caduti di Nassyria.

L’autore o gli autori hanno agito nel cuore della notte, probabilmente spinti dall’ondata di sdegno che ha attraversato la città dopo i recenti episodi di cronaca: la donna che ha resistito a un tentativo di stupro ma è stata rapinata in casa e l’uomo aggredito e derubato da due extracomunitari mentre stava salendo in auto. Entrambi i casi, tuttavia, sono stati brillantemente e rapidamente risolti dai carabinieri della Compagnia locale.

Proprio i militari della stazione di Bra hanno provveduto alla rimozione dello striscione. Nelle chat WhatsApp, intanto, la foto del manifesto si è diffusa rapidamente, suscitando reazioni e commenti di vario tenore.

Un intervento istituzionale ha condannato fermamente l’accaduto, le parole del sindaco di Bra, Gianni Fogliato:
«Condanno il contenuto del messaggio e anche chi o coloro che lo hanno pensato, realizzato e affisso in piazza. Quello che dice lo striscione va contro ogni aspetto di coesione sociale e di integrazione che la nostra città si sforza di vivere. Purtroppo anche sul nostro territorio assistiamo ad atti di delinquenza, commessi sia da italiani sia da extracomunitari: nella convinzione che la sicurezza di ogni cittadino va sempre messa al primo posto, mentre ringrazio tutte le forze dell’ordine per il loro costante e qualificato lavoro, auspico che coloro che hanno il potere di legiferare in questo Paese facciano davvero leggi utili ad assicurare alla giustizia chi si macchia di questi reati, con la certezza di scontare per intero la pena che viene loro comminata».

Sebbene il termine “remigrare” compaia già in Giordano Bruno, nello Spaccio della bestia trionfante del 1584, dove indicava semplicemente il “ritorno al luogo d’origine”, oggi la parola viene impiegata in un’accezione completamente diversa: quella di “riportare indietro” gli immigrati.
La remigrazione è diventata un concetto promosso dai movimenti dell’estrema destra europea, che la interpretano come una forma di “pulizia etnica” attraverso la deportazione di massa di persone non bianche e dei loro discendenti – talvolta persino di chi è nato in Europa – verso i presunti luoghi di origine.

Questa operazione lessicale rappresenta un tipico rebranding semantico: modificare le parole per rendere più presentabili idee che, espresse apertamente, sarebbero inaccettabili. È la logica dell’eufemismo politico, dove termini come “identità”, “sicurezza” e “tradizione” diventano strumenti retorici per mascherare politiche di esclusione sistemica. “Remigrazione” è forse il caso più emblematico: un termine che suona tecnico, quasi neutro, ma che di fatto non lo è.

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