 
di Francesca Pinaffo
ALBA – È di nuovo quel periodo dell’anno: la vendemmia, la celebrazione del prodotto simbolo del territorio. E mentre tra le colline di Langa è iniziata la raccolta di Moscato, Chardonnay e dei primi Dolcetti (ne parliamo a pagina 44), si ripresenta la questione più delicata: senza braccia, l’uva non si può raccogliere. Senza cooperative o società che prestano manodopera, l’uva non si può raccogliere, direbbero forse parecchi produttori. Perché in un contesto in cui trovare lavoratori per i picchi stagionali è un’impresa, rivolgersi a intermediari per moltissimi è la soluzione.
È bastata un’operazione dei Carabinieri di Alba per sgomberare l’ex Centrale del latte, alle porte del parco Tanaro (si legga anche l’articolo a fianco), a rivelare ancora una volta il problema dell’accoglienza. Dall’Est Europa all’Africa, per arrivare nel- l’ultimo periodo al Bangladesh, la nazionalità di chi viene reclutato dai contoterzisti è cambiata. Oggi arrivano sulle colline Unesco uomini senza una rete di supporto, fragili di fronte a un sistema dove trova spazio anche lo sfruttamento, com’è stato confermato da studi sul tema e soprattutto da inchieste delle Forze dell’ordine.
Il buon esempio
Come affrontare la questione? C’è chi, in silenzio, ha iniziato a dare il proprio contributo. A Treiso, in località Pertinace, si trova l’omonima cantina. È una cooperativa di 22 soci, con circa 110 ettari di vigne. Da tre anni, in una casa di proprietà, nei tre appartamenti vengono ospitati braccianti agricoli impegnati nella raccolta. Gratuitamente. È un progetto nato con il Centro di prima accoglienza della Caritas albese e con il Comune di Treiso. Ora sono sei i lavoratori stranieri accolti.

Cesare Barbero è il direttore della cantina: «Tutto è iniziato quando l’allora sindaco di Alba, Carlo Bo, è intervenuto nel Consiglio del consorzio del Barolo, di cui faccio parte, per cercare di sensibilizzare i produttori sul tema dell’accoglienza dei braccianti. Dal momento che avevamo acquisito da poco la casa vicino alla cantina, mi sono detto: perché non fare la nostra parte e metterla a disposizione per chi ha bisogno? Ne ho parlato con i soci e la risposta è stata positiva. Ci siamo trovati molto bene e così abbiamo rinnovato il progetto di anno in anno».
La particolarità è che i lavoratori non per forza sono impegnati nelle vigne della cantina: «Ci interessa solo che siano assunti regolarmente. Per il resto, offriamo la casa, lasciando la gestione degli ospiti alla Caritas». Un gesto non scontato: «Personalmente anche io ho messo a disposizione gratuitamente due appartamenti per i lavoratori della cooperativa con cui collaboro nella mia azienda. Credo che ognuno debba fare la propria parte: parliamo di persone», dice Barbero.
La proposta
Le cooperative, un tema delicato. «Senza questa realtà (spesso sono società, nda), oggi non si troverebbe personale, almeno per le aziende medio-piccole. So che ne sono nate parecchie nella nostra area: noi lavoriamo sempre con le stesse, di cui siamo sicuri».
Barbero conferma che il volto dei braccianti è cambiato nel corso del tempo: «Oggi gli africani sono tanti. Chi si trova bene torna, anno dopo anno. Sono una risorsa: abbiamo bisogno di manodopera. Sono lontani i tempi in cui in vendemmia ci si basava sugli studenti o sui familiari, anche per ragioni burocratiche». E conclude con una proposta: «Sono tantissime le cascine vuote tra le vigne. Perché non sistemarle, con l’utilizzo vincolato all’accoglienza dei lavoratori? Se ci fossero delle risorse mirate dallo Stato o magari dalla Regione, forse potrebbe essere una soluzione efficace».
Parliamo del tema anche nel podcast La Settimana QUI

