![Abderrahmane (Ab) Amajou presidente Action Aid Italia Amajou torna a Bra: «La guerra è una follia» [Video intervista esclusiva]](https://www.gazzettadalba.it/wp-content/uploads/2025/10/Intervista-Esclusiva-Abderrahmane-Amajou.jpg)
di Valter Manzone e Andrea Olimpi
BRA – Liberato da un giudice israeliano dopo giorni di detenzione nel carcere di Ketziot, nel deserto del Negev, Abderrahmane (Ab) Amajou è tornato nella serata di lunedì 6 ottobre a Bra. Oggi, martedì 7 ottobre, è stato ricevuto in Giunta nel Municipio braidese.
Le sue prime parole sono state: «Grazie Gianni, grazie alla Giunta e grazie ai braidesi che si sono mobilitati in tutti questi giorni». L’attivista braidese, 39 anni, presidente di ActionAid Italia, ha ascoltato il sindaco che gli ha rivolto questo saluto:
«Sono orgoglioso di essere sindaco di Bra, la tua città, da tempo gemellata con Betlemme e da oggi ufficialmente partecipe, grazie alla delibera assunta proprio stamani, del progetto Juzoor, che vuole realizzare una scuola a Khallet Taha, in Cisgiordania».
Poi Ab ha iniziato a raccontare la sua esperienza.
«Ciò che abbiamo vissuto con la missione della Global Sumud Flotilla ci dice che davvero la guerra è una follia. Abbiamo potuto constatare che è stato sabotato, e continua ad esserlo, il diritto internazionale, mentre le nostre 44 delegazioni si muovevano nel solco della legalità, come ci confermavano gli avvocati al nostro fianco. Erano invece certamente illegali i bombardamenti con i droni, gli intercettamenti da parte degli israeliani e lo stesso blocco navale, che comunque deve permettere l’ingresso di alimenti, come previsto dall’articolo 19 della Convenzione del mare degli Stati Uniti».
Ha poi aggiunto: «Avevamo capito che non c’era l’intenzione di ucciderci, piuttosto di spaventarci. Anche per gli israeliani la posta in gioco era alta: loro sapevano che ogni barca era dotata di telecamere, che noi eravamo pacifisti senza armi e che avevamo anche dei parlamentari a bordo. Se una parte della delegazione italiana è scesa a Cipro, lo ha fatto proprio perché si è spaventata e non riusciva a immaginare come sarebbe andata a finire la missione. In questo contesto di paura generale sono nate le proposte di trovare un canale alternativo per la consegna delle nostre derrate. Dopo questo bombardamento si è iniziato a parlare del Patriarcato di Gerusalemme, del cardinale Pizzaballa, e anche del monito lanciato dal nostro presidente Mattarella».
«Quella della Flotilla – prosegue – non era una missione pensata solo per portare cibo, molto del quale purtroppo non sarebbe comunque potuto entrare a Gaza perché contenente zucchero e quindi considerato bene di lusso, o medicinali, ma piuttosto per rompere il blocco navale, per aprire un corridoio umanitario permanente, ovvero per accendere un faro di speranza per il popolo palestinese, che sta subendo un genocidio sotto gli occhi del mondo, senza che nessuno lo fermi».
La Flotilla ha però ottenuto un successo. Racconta Ab: «I palestinesi ci hanno inviato dei video per ringraziarci della nostra presenza, che ha catalizzato l’attenzione dell’esercito israeliano, permettendo loro di tornare in mare per pescare, attività che da molto tempo era vietata».
Poi ha ricordato anche le umiliazioni subite da tutti gli oltre 400 volontari, inflitte dai militari israeliani. «Ci umiliavano in ogni modo, solamente per il gusto di farlo. Ricordo come trattavano la giovane Greta Thunberg, solo perché era una persona famosa: sia i soldati sia le soldatesse le sputavano in viso, la strattonavano, la mettevano a testa in giù, approfittando di questi momenti per farsi un selfie con lei».
Quando Ab ha rifiutato di firmare la dichiarazione di ingresso illegale in Israele, è stato portato nel carcere di Ketziot, nel deserto del Negev. «Una cosa mi ha particolarmente colpito: leggere in cella dei nomi e cognomi di detenuti che erano stati rinchiusi, con accanto la scritta “Ricordatemi”. Segno che da quell’inferno non sono più usciti. Io ho scelto di fare digiuno, per compiere un gesto anche politico, perché pensavo ai palestinesi che a pochi chilometri di distanza stavano morendo di fame».
In carcere i detenuti hanno ricevuto la visita del Console generale, al quale chiedevano notizie sulla situazione in Italia e dal quale hanno saputo delle enormi mobilitazioni di piazza in tutto il Paese. Aggiunge Ab: «Il nostro primo ministro sosteneva che la Flotilla volesse creare problemi al suo governo. Non è così, semplicemente perché buona parte delle 44 delegazioni, provenienti da ogni parte del mondo, non sapevano neppure dei problemi italiani».
Poi conclude: «La missione della Flotilla è terminata come ci eravamo immaginati: sapevamo che sarebbe stato difficile entrare a Gaza. Ma abbiamo acceso un faro. Durante la distribuzione degli alimenti, anche da parte della fondazione americana, ci risulta che siano state uccise oltre 2.500 persone, tra cui anche bambini, che avevano solamente fatto la fila per ricevere una busta con un po’ di cibo. Tutto questo non è più tollerabile».
