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Editoriale / Federalismo europeo, oscuro oggetto del desiderio

Il Parlamento europeo
Il Parlamento europeo

di Franco Chittolina per Agenzia giornali diocesani

POLITICA INTERNAZIONALE – In un’Unione europea stordita dall’accelerazione della storia che rischia di tagliarla fuori dalle sedi dove si decidono le future sorti del mondo, anche la sua capacità progettuale è messa a dura prova, lontana ormai dalle visioni fondative dalle quali era nata.

Sul finire della prima metà del secolo scorso, in attesa che si spegnesse la Seconda guerra mondiale, spiriti visionari traevano la lezione della tragedia ancora in corso e mettevano mano al progetto dell’Europa futura. Molte e importanti le voci italiane, da Carlo Rosselli ad Altiero Spinelli e Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene fino, tra i nostri conterranei, a Luigi Einaudi e Duccio Galimberti. Con approcci e proposte diverse, preoccupati per il futuro della pace nel continente, convergevano attorno al progetto di una “Europa federale”, quale quella che avrebbe poi disegnato anche l’art. 11 della Costituzione chiedendo alla Repubblica di consentire “in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”, promuovendo e favorendo “le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Un dettato che trova oggi non poche difficoltà a tradursi in un progetto condiviso non solo a livello mondiale, con il diritto internazionale in caduta libera, ma anche nell’Unione europea a 27 con la visione federalista di quegli anni fortemente appannata.

È in questo contesto che vanno collocate voci italiane che si sono fatte sentire nei giorni scorsi, facendo perno sulla parola chiave “pragmatismo”, diventato un mantra per tutte le stagioni, sintomo di una difficoltà di visione e ricetta utile per rimediare, se non al malessere attuale dell’Unione , ma almeno per sedarne i sintomi.

Senza confondere questa parola sulla bocca di due politici italiani, Giorgia Meloni e Mario Draghi, con il più fondamentale e costante insegnamento di uno statista di alto profilo, e con altro ruolo istituzionale, come il presidente Sergio Mattarella, vale la pena provare a confrontare tra loro chi ha visto e vede l’Europa da palazzo Chigi, non proprio una nuova Ventotene.

Guardare l’Europa da una capitale non è solo un limite italiano, ne risentono sul continente tutti i governi alle prese con il consenso elettorale di breve periodo, quello che fa la differenza tra politici e statisti ed è dentro questi limiti che viene declinato il nuovo mantra del “pragmatismo”, quello “intergovernativo” dell’attuale presidente del Consiglio italiano e quello “federale”  del suo predecessore.

Nel primo caso il “pragmatismo” nella politica europea si traduce con la prevalente difesa di Giorgia Meloni dell’interesse nazionale, prezioso per difendere il consenso elettorale, protetto dallo scudo del veto consentito dal voto all’unanimità, un’arma ancora brandita dal presidente del Consiglio il 22 ottobre scorso davanti al Parlamento.

Diverso il caso del “federalismo pragmatico” di Draghi che, pur rinunciando nelle condizioni attuali a un più ambizioso progetto di lungo periodo, invita a proseguire sulla strada dell’integrazione economica e politica europea facendo quanto possibile “con chi ci sta”, come autorizza il Trattato di Lisbona con le “cooperazioni rafforzate” tra quei Paesi UE che decidono di andare avanti senza aspettare che si metta in moto tutto il lento treno dei 27 governi nazionali.

Che questo sia possibile, Draghi lo ha felicemente sperimentato negli anni difficili della sua presidenza alla Banca centrale europea dove sono presenti “solo” i 20 Paesi dell’euro sui 27 dell’Ue avvalendosi, nella procedura decisionale, del voto a maggioranza senza rimanere appeso al cappio del voto all’unanimità.

Perché adesso non provarci con i Paesi che avvertono l’urgenza di nuove iniziative politiche come, ma non solo, nel caso della difesa europea, con una “coalizione di volenterosi” pronti a dare vita a una avanguardia pronta ad esplorare territori nuovi e a sperimentare inedite iniziative politiche, in attesa che maturino i tempi per una profonda revisione dei Trattati, come quella che si imporrà prima di procedere ai futuri allargamenti dell’Unione?

Un interrogativo serio per governo italiano alla ricerca di un ruolo nell’Ue di domani: come essere credibili se si continua a far parte delle retroguardie politiche europee, protetti dal voto all’unanimità?

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