di Francesca Pinaffo
ALBA – Uno studio di fattibilità, ma soprattutto un sogno: sviluppare, nelle Langhe e nel Roero, un modello territoriale per la gestione sostenibile della manodopera in vigna, che unisca le esigenze del comparto – quelle dei lavoratori, delle aziende e dei contoterzisti –, con tutta una serie di requisiti sociali ed etici che, negli ultimi anni e in più casi, sono venuti meno.
Accade ogni volta che un lavoratore entra nel limbo del lavoro nero o grigio, quando dorme per strada perché, con lo stipendio da fame che riceve a fine mese, non può permettersi altro, o quando si ritrova tra i filari senza il minimo di dotazione o di formazione. Nel 2024, l’impresa sociale Weco ha avviato un’indagine per cercare di trovare una soluzione. Un progetto promosso insieme al consorzio del Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, con una serie di partner.
Dopo le interviste a una trentina di portatori d’interesse – dalle imprese alle istituzioni, dai sindacati agli stessi lavoratori –, lo sviluppo di due modelli alternativi, l’osservazione delle buone prassi di altre aree, tavoli di confronto e un’analisi dello scenario attuale basandosi sui numeri, mercoledì scorso è stato presentato l’esito di questo complesso lavoro, durante una conferenza stampa organizzata nella sede dell’Associazione commercianti albesi.
Come ha detto Cesare Barbero, direttore della cantina Pertinace e vicepresidente del consorzio, «se manca dignità al lavoro, la bellezza del nostro territorio viene meno». E non è soltanto una questione di reputazione.
I numeri
Sono stati analizzati i dati del mercato del lavoro agricolo. Lo ha spiegato Maria Cristina Galeasso di Weco: «La fonte sono le attivazioni contrattuali, rilevate dal Centro per l’impiego di Alba, nel 2023, che è l’ultima annualità per la quale esiste un report completo». Sono i contratti nuovi e soprattutto sono quelli registrati: ciò che è lavoro nero sta fuori da questo calcolo.

Il primo dato: sono 4.454 i lavoratori impiegati nelle operazioni manuali di viticoltura (di cui il 70% sono uomini). Le aziende datrici sono 589, di cui l’89% sono imprese vitivinicole, mentre il restante 11% sono contoterzisti, cioè chi fornisce manodopera. «L’aspetto interessante è che, su 5.456 contratti attivati, di cui oltre il 97% a tempo determinato, la metà hanno come datrici le aziende del vino, l’altra metà gli intermediari», ha detto Galeasso. Significa che, di frequente, un lavoratore firma più contratti e che i contoterzisti, pur essendo di meno delle aziende, sono molto attivi su questo fronte. E questo dimostra quanto l’intermediazione sia radicata nel sistema locale.
Più stranieri
Sempre guardando ai contratti, si scopre che circa il 70% dei lavoratori registrati sono inquadrati come operai comuni (contro lo 0,7% degli specializzati per esempio). C’è anche un 17% per i quali non risulta disponibile questo dato: «In generale, si parla di livelli base, con una scarsa valorizzazione delle competenze».
Com’è intuibile, gli stranieri sono il 72% dei braccianti delle vigne: resta una forte presenza dell’Est Europa (oltre la metà), mentre chi proviene dall’Africa e dall’Asia rappresenta il 14% del totale. Weco ha anche analizzato la durata dei contratti: «In media, quelli stipulati dai contoterzisti sono più limitati nel tempo», ha precisato Galeasso.
E se questo è il contesto generale, Weco e i vari soggetti si sono messi all’opera per arrivare a una possibile soluzione. Ecco la proposta: una governance territoriale che preveda due organismi distinti ma complementari, una fondazione e una società operativa. La prima, magari pubblico-privata, è pensata per definire le linee di indirizzo, il codice etico, gli obiettivi, la seconda, senza scopo di lucro, gestisce l’accoglienza dei lavoratori e fa da raccordo con i servizi esistenti, dal Centro per l’impiego per l’incontro domanda-offerta alle varie agenzie già esistenti per la formazione.
In vista del 2026

Scatterebbe, poi, un meccanismo di contrattazione garantito da un codice etico. Come ha detto Angelo Perez, presidente di Weco, «per il 2026 si punta all’assunzione, con questo sistema e con criteri legali e trasparenti, di 120 lavoratori». Sono circa il 6% degli addetti impiegati sul territorio dalle cooperative e dalle società di servizi, ma il 30% dei lavoratori di origine africana, i più esposti a forme di sfruttamento. La cifra, in più, crescerebbe di anno in anno.
Dopo questa proposta, che cosa accadrà? La vera sfida è attivarla: «Con diversi soggetti istituzionali, si sta pensando a un tavolo di confronto per raggiungere questo obiettivo», ha concluso Perez.

