testi e foto di Pierangelo Vacchetto
ALBA – Mercoledì 17 dicembre il teatro Sociale di Alba si è trasformato in un laboratorio di comicità musicale e satira colta grazie allo spettacolo degli Oblivion, che hanno portato in scena un vortice travolgente di personaggi, citazioni e canzoni, seguendo un percorso apparentemente caotico ma in realtà finemente orchestrato.
La serata si apre nel presente più digitale possibile: Siri diventa la guida ironica di un mondo iperconnesso, introducendo un Jovanotti reinventato come profeta pop della giungla urbana. È qui che irrompe il Re Leone in versione rider, tra autotune immaginari e “codice della giungla urbana”, dove il concetto di riserva naturale si ribalta: non più cibo per i figli, ma per “altre specie”, tra predatori, un rider senza sosta e senza contratto, e un capitalismo che corre più veloce del buon senso.
Il salto temporale è immediato: arriva Galileo Galilei, che ribadisce con ostinazione comica che «eppure si muove», mentre la Terra gira come un disco che salta. Ed ecco le canzoni coi numeri raddoppiati: 88 gatti in fila per 12 col resto di 4, L’esagono no anziché il triangolo, la matematica assurda diventa pretesto per giocare con logica e nonsense.
La satira politica entra in scena con Togliatti e Nilde Jotti, influencer che fa il verso a Ferragni, con scialli sulle spalle e sponsor di borse di Pravda, subito spazzata via da Brividi, cantata come un vinile difettoso. Da qui si passa a un esilarante esperimento musicale con dieci modi di cantare la canzone vincitrice del festival di Sanremo dapprima in chiesa, poi con un vocalist che pronuncia solo le vocali e una “consonant” con solo le consonanti, poi insieme, quindi in sardo fino a esplodere in un gran finale stile Beach Boys, tra armonie improbabili e nostalgia surf.
La letteratura viene strizzata e remixata: Ungaretti chiama Galileo componendo poesie da 240 caratteri, perfette non per l’eternità ma per fare reel. Il celebre M’illumino d’immenso diventa un momento di attenzione nell’era dei social. Puccini abbandona la musica classica per i video virali e “fa il botto”, mentre D’Annunzio, dopo il flirt con i futuristi approda a un rap futurista sanremese sotto la pioggia del pineto.
Non mancano le frecciate al presente: Verdi che fa pubblicità sulle note di La donna è mobile qual piuma al vento muta…, Battisti e l’oggettività della figura femminile al ritmo di Motocicletta 10 Hp. Quindi le canzoni politicamente corrette con la pelle nera che diventa «pantone» e «va fa un bagno» il testo di Masini. Il pubblico ride e si riconosce.
Il grottesco raggiunge l’apice con Mussolini e Claretta che insegnano la ricetta del tiramisù, controllando la data di scadenza del mascarpone come fosse una secessione dimenticata. Poi di nuovo la savana digitale dove si aggira il leone da tastiera, felino stanziale e solitario, protetto da una rete che ne garantisce l’anonimato. Tra un gruppo di alpini che cantano Mon amur, riflessioni su risparmio energetico e cambiamento climatico in una surreale Valle d’Aosta beach con lido ad Aosta, gli Oblivion dimostrano che l’assurdo è solo realtà vista di sbieco.
Il finale è un omaggio alla grande letteratura italiana: Quel ramo del lago di Como diventa una dichiarazione d’amore pop, mentre Manzoni manda un messaggio vocale al gruppo padel mentre si snoda il romanzo dei Promessi sposi versione Oblivion con tra le altre, una geniale sostituzione: «Togli don Abbondio, metti don Matteo».
Applausi salutano la parodia delle canzoni di Madame, Annalisa, Angelina Mango e Marco Mengoni e continuano nel bis che racconta in musica la grande storia del rock. Uno spettacolo intelligente, velocissimo, colto e pop allo stesso tempo, che conferma gli Oblivion come maestri nel trasformare la cultura italiana, alta e bassa, in una risata liberatoria e sorprendentemente lucida.






