L’era della tecnologia ci costringe a ripensare società ed economia

L’era della tecnologia ci costringe  a ripensare società ed economia

Le nuove conquiste possono aprire la strada a una crescita senza occupazione? Il lavoro umano può essere sostituito dalle macchine: la ricchezza aumenta, ma innesca problemi di redistribuzione da sanare. Secondo filosofi e scienziati, l’efficienza dell’informatica e dei sistemi comunicativi procede a un ritmo troppo rapido per essere assimilata dalla società: gli esseri umani paiono cioè impreparati a gestire con sapienza questo “mondo”, animato da dispositivi intelligenti, droni, computer con capacità sempre più simili al cervello umano e sistemi produttivi robotici. Ne parliamo con Marco Magnani.

CHI È MARCO MAGNANI?

L’era della tecnologia ci costringe a ripensare società ed economia 1Marco Magnani, economista, vive fra Italia e Stati Uniti. È stato nominato young global leader del World economic forum di Davos e ha fatto parte del Global agenda council of finance & capital. Ha frequentato corsi di public policy della Harvard Kennedy school, del Jackson institute of global affairs di Yale University e della Lee Kuan Yew school of public policy di Singapore. Per Utet è autore di Sette anni di vacche sobrie e Terra e buoi dei paesi tuoi. Il 4 febbraio è uscito, sempre per Utet, Fatti non foste a viver come robot.

INTERVISTA Marco Magnani è un economista che vive fra Italia e Stati Uniti. Docente alla Luiss Guido Carli, collabora anche con l’Istituto affari internazionali. Dal 2011 ricercatore alla Harvard Kennedy school of government e sovente ospite di Bruno Ceretto, Magnani conserva un legame stretto con le Langhe. In primavera sarà qui per presentare il suo nuovo libro: Fatti non foste a viver come robot, in uscita il 4 febbraio per Utet.

Qual è il tema centrale del suo libro, Magnani?

«Mi occupo di due temi: la sostenibilità della crescita economica (non solo ambientale ma anche energetica, demografica, alimentare) e il futuro del lavoro, attraverso il rapporto uomo-macchina».

Viviamo un tempo in cui la crescita è perseguita a ogni costo, anche al prezzo di rovinare l’ambiente e le relazioni tra gli uomini. Come si inserisce la tecnologia in questa congiuntura?

«In futuro la crescita potrebbe non funzionare più, come in passato, da cinghia di trasmissione tra innovazione e lavoro. Le nuove tecnologie stanno aprendo la strada di una crescita senza occupazione, perché il lavoro dell’uomo è in larga misura sostituito dalle macchine. In questo caso la ricchezza complessiva aumenta, ma emergono enormi problemi di redistribuzione. Il tema della relazione tra cambiamento tecnologico e occupazione, sollevato in passato anche da Ricardo, Marx, Keynes e Meade, torna a essere di attualità. Non è peraltro la prima volta nella storia che le innovazioni tecnologiche rivoluzionano il mercato del lavoro».

Che cosa accadrà?

«Alla perdita di certi mestieri corrisponderà la nascita di nuovi. Tuttavia, questa volta, la fase di transizione potrebbe essere particolarmente difficile e il saldo finale sull’occupazione incerto. Esiste addirittura la possibilità di uno scenario in cui la nuova occupazione sia molto inferiore a quella persa e in cui il valore mediamente riconosciuto al lavoro diminuisca».

Una metamorfosi senza precedenti, quindi.

«In passato un’innovazione importante produceva, dopo un periodo di assestamento, un nuovo equilibrio nel mondo del lavoro che durava qualche generazione. Si pensi alle rivoluzioni industriali. Oggi ogni generazione è testimone, nel corso della propria vita lavorativa, di diverse innovazioni radicali e vive – con ansia crescente – un continuo cambio di equilibri. Altri elementi senza precedenti sono velocità di penetrazione e pervasività delle attuali innovazioni. Si pensi a capacità di calcolo e relativi costi. Il più veloce elaboratore elettronico nel 1975 costava cinque milioni di dollari mentre oggi con 400- 500 dollari si può acquistare uno smartphone con analoga potenza di calcolo».  

Infine, parliamo della cosiddetta intelligenza artificiale, Magnani.

«All’automazione fisica, con macchine e robot che rimpiazzano le braccia, si affianca sempre di più, anche in questo frangente, quella cognitiva, con l’intelligenza artificiale che sostituisce ormai pure molte mansioni intellettuali. Per la prima volta sono quindi a rischio anche professioni con competenze elevate, che prevedono un livello d’istruzione medio-alto. L’enorme diffusione delle diverse innovazioni tecnologiche sta inoltre creando una dicotomia senza precedenti nel mercato del lavoro, ampliando il divario tra chi è in grado di utilizzarle e chi no, con la inevitabile polarizzazione anche dei redditi individuali».

Che cosa fare, dunque?

«Una possibilità sta nel delegare il lavoro alle macchine, in tutto o in parte, aumentando il tempo libero dell’uomo. Ciò significa ripensare la funzione del lavoro stesso e l’impostazione della vita delle persone. Questo passo richiede d’introdurre importanti meccanismidi redistribuzione, come il reddito universale.
Una diversa ipotesi è quella che lo Stato, indipendentemente dal livello di automazione raggiunto nelle singole situazioni, garantisca a tutti un’occupazione. C’è una terza via: accettare la sfida di una convivenza intelligente tra l’uomo e la macchina».

Sull’innovazione, il modello capitalistico liberale oggi è in crisi?

«Non appare così scontato che l’innovazione continui a generare crescita, perché il paradigma economico dominante, che vede i concetti di Pil (Prodotto interno lordo) e crescita sempre al centro dell’attenzione, sembra trascurare aspetti fondamentali e sacrificare società ed ecologia in nome della produttività. Secondo alcune tesi il legame virtuoso innovazione-crescita è in crisi a causa di vincoli molto più forti rispetto al passato: infatti sono in pericolo non solo la sostenibilità demografica, alimentare ed energetica, ma anche quella ecologica e ambientale, sociale e politico-istituzionale. In entrambi gli scenari, il tradizionale modello di crescita del capitalismo liberale è sotto pressione. Da più parti se ne chiede la “rottamazione” o quantomeno un “aggiustamento”. Tra le alternative proposte,
oltre a quella d’imboccare consapevolmente la strada della decrescita (felice o meno), emergono suggerimenti innovativi da blue economy, economia civile, economia circolare, sharing economy, convivialismo».

Ma che cosa significano questi termini?

«Economia blu o blue economy è un concetto migliorativo dell’economia verde: la prima prevede di azzerare le emissioni di CO2, la seconda di ridurle entro limiti accettabili. Inoltre, la blue economy mira a trasformare merci altrimenti scartate in prodotti utilizzabili e redditizi. L’economia circolare, invece, prevede l’esistenza di un sistema capace di rigenerarsi, senza spreco di risorse, dunque sostenibile. Gli sprechi vengono ridotti al minimo. Altro concetto importante è quello di sharing economy, che definisce un assetto sociale basato sulla “condivisione” di servizi, in modo da renderli accessibili a tutti: mezzi di trasporto, tecnologia o cibo non vengono più consumati da individui isolati ma messi a disposizione della comunità. Il termine convivialismo, infine, identifica l’arte del vivere insieme: l’uomo ha bisogno di trovare nuovi modi di coesistenza, senza accumulazione di potenza e risorse nelle mani di pochi».

Anche nella provincia di Cuneo è in arrivo uno tsunami che si può governare?

«Come ogni tsunami, quello tecnologico può spazzare via tutto, se non si è pronti a fronteggiarlo in modo adeguato. Nella Granda l’innovazione giocherà a breve un ruolo fondamentale: agricoltura, agroalimentare e manifatturiero – i pilastri dell’economia – muteranno. La sfida sarà coniugare il mantenimento della tradizione con gli strumenti dell’innovazione. Pensiamo al vino: esistono sensori che, posizionati fra le piante, possono comunicare le quantità d’acqua, fertilizzante e risorse di cui la vite ha bisogno. È un enorme risparmio di energia e materiale. Sul tema non dobbiamo dimenticare che la perdita di posti di lavoro sarà enorme. Anche mestieri intellettuali, come quello del giornalista, potrebbero subire contraccolpi, dato che già oggi esistono software in grado di scrivere articoli molto complessi. Starà però all’uomo accogliere questa sfida in modo evolutivo e non involutivo, inventando un nuovo assetto e nuove funzioni».

s.e.

INCHIESTA: IL LAVORO AL TEMPO DEI ROBOT

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