Giro del MONDO in moto

L’AVVENTURA Per completare il giro del mondo in moto, senza alcun amico o mezzo al seguito, bisogna essere folli. Sbagliato. Davide Biga, 37enne di Mondovì, è la lucidità fatta persona: nel 2010, dopo aver raggiunto in diversi viaggi motociclistici Marocco, Tunisia, Malta, Islanda, Turchia e Iran, si è messo in testa di fare il giro del mondo e, vincendo le perplessità dei più, ce l’ha fatta. Gazzetta lo ha incontrato.

Biga, dove nasce la sua passione per la moto?  «È innata. Da bambino, non disegnavo alberi o casette, ma moto. Ho sempre sognato di diventare un bravo pilota e per realizzare il mio sogno ho dedicato ogni fine settimana dell’adolescenza ad affinare la confidenza con le due ruote e i motori».

Ha provato con la carriera professionistica?  «Ho gareggiato per qualche anno in pista, ma poi ha prevalso la volontà di mia madre, la quale, temendo per la mia incolumità, non ha mai voluto che io facessi il motociclista. Ho comunque continuato a seguire il mondo delle moto, arrivando ad appassionarmi delle grandi imprese compiute in solitaria. Dopo aver letto alcuni libri ed effettuato alcuni viaggi in moto fuori dall’Italia, è maturata in me l’idea, da molti considerata folle, di compiere il giro del mondo in solitaria. Si trattava di una sfida con me stesso».

Come si organizza un giro del mondo?  «Ho lasciato il lavoro di piastrellista e, nel gennaio 2010, mi sono buttato a capofitto alla ricerca degli sponsor, che si è rivelata più difficile del previsto, in quanto poche aziende credevano che realmente sarei riuscito a concludere il viaggio. Parallelamente, ho iniziato la preparazione psicologica e quella fisica, fatta di fitness, esercizi e migliaia di chilometri in moto. Grazie al sostegno dell’amico Davide Peruzzi e alla collaborazione di Roberto Tesio, Guido Perrone e Daniela Mondino, ho fondato l’associazione sportiva dilettantistica Motorbike world tourer-Adventure dream, che ancora oggi è la mia squadra. Ho poi acquistato la mia “compagna di viaggio” (una Yamaha super Ténéré XT1200Z) dotata di un localizzatore collegato al mio blog, un netbook per aggiornare amici, parenti e tifosi sul viaggio, un telefonino, un navigatore satellitare, l’infallibile mappa cartacea, un sacco a pelo termico e una tenda dal montaggio istantaneo».

Ci parli del suo viaggio.  «Sono partito il 15 maggio 2011, da Mondovì. In una settimana ho raggiunto la Norvegia, per poi dirigermi in Russia, dove ho percorso la Transiberiana, lungo la quale sono rimasto vittima di un’imboscata da parte di alcuni malintenzionati che volevano rapinarmi, ma per fortuna sono riuscito a fuggire. In Giappone ho fatto visita alla casa madre della mia moto e di lì sono andato in Alaska per poi raggiungere gli Stati Uniti d’America. Attraversando il Canada ho avuto un incontro ravvicinato con un orso e in Messico sono finito in un’area in mano ai narcotrafficanti, i quali, dopo avermi puntato addosso un mitra, hanno capito che ero capitato dalle loro parti per sbaglio e mi hanno lasciato passare. In Bolivia sono caduto, rompendomi lo scafoide della mano: nonostante il dolore lancinante sono riuscito a raggiungere la Terra del fuoco, a metà tra Cile e Argentina, e di lì a imbarcarmi per il Senegal. A quel punto, è stata quasi una passeggiata tornare a Mondovì, dove sono arrivato il 19 maggio 2012, dopo 94 mila chilometri in solitaria».

Come trascorreva le giornate?  «Quasi sempre in moto, fermandomi solo per mangiare (in ristoranti di fortuna o in fast food), fare benzina e dormire, quasi sempre in tenda. Ogni mattina, non sapevo dove avrei dormito la sera».

Cosa l’ha colpita di più?  «Ero partito per stare solo con la mia moto, ma durante il viaggio la cosa più importante è diventata l’incontro con le persone. Conoscere culture e luoghi diversi è fantastico».

Cosa c’è nel suo futuro?  «Ho una fidanzata, che mi ha atteso un anno, e non voglio più lasciarla sola per così tanto tempo, anche perché mi piacerebbe avere una famiglia. Questo viaggio, però, mi ha cambiato la vita, facendomi capire che senza moto non posso vivere. Pertanto, sto cercando di trasformare questa passione in un lavoro a tempo pieno. Il primo passo è di raccontare la mia avventura in un libro, il secondo di compiere un nuovo viaggio estremo».

Enrico Fonte

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