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Parole per un anno: FAMIGLIA

QUI ci vuole un MINISTERO

La famiglia – già in forte crisi d’identità – soffre sotto i colpi della congiuntura economica, don Antonio. Lei, che se n’è fatto paladino attraverso il settimanale Famiglia Cristiana, quali strade suggerisce di intraprendere al Governo?

«All’attuale Governo o a chi verrà dopo Mario Monti, visto che è già dimissionario, consiglierei di ripristinare subito il Ministero per la famiglia, perché la famiglia è la risorsa più preziosa del Paese. È un vero capitale umano, sociale ed economico. Cellula vitale della società, elemento di coesione civile e sociale. Se sta bene la famiglia, sta bene il Paese. Se cresce la famiglia, cresce anche il Paese. Per questo conviene investire, in modo serio e strutturale, su di essa. Con un fisco più equo, che non penalizzi le famiglie con più figli. Solo una politica miope e di corto respiro non riesce a capirlo. Pur tra mille difficoltà, anche in questa grave crisi economica, la famiglia ha tenuto in piedi l’Italia. Si è rivelata il miglior “ammortizzatore sociale” di tante inefficienze e carenze istituzionali. E, soprattutto, ha ammortizzato il gravissimo problema della disoccupazione giovanile, che nel Sud Italia è già al cinquanta per cento. Per questa sua capacità di resistere, reagire alla crisi e dare speranza al Paese, Famiglia Cristiana ha assegnato alla famiglia italiana il titolo di “Personaggio dell’anno 2012”.

Da anni ogni Esecutivo promette e puntualmente non mantiene. Eppure, dare fiato alla famiglia – che ha sostituito la carenza da parte dello Stato di adeguate politiche per la natalità e la terza età, tanto per citare – vuol dire assicurare futuro alla società. Perché proprio in Italia non ci crediamo?

«In Italia nessuno programma il futuro, né si chiede che Italia sarà quella del prossimo decennio. La classe politica non è all’altezza della gravità dei problemi del Paese. È intenta a salvaguardare potere e privilegi (con un indecente sperpero delle risorse pubbliche), senza alcuna attenzione per il bene comune. Intanto, il Paese annaspa e affonda. Ha il tasso di natalità più basso al mondo e si avvia a un vero e proprio “suicidio demografico”, come hanno denunciato i vescovi italiani. Senza nuove generazioni non c’è futuro. Non c’è speranza. Un figlio, oggi in Italia, è fattore di povertà. Non di crescita e sviluppo, come avviene in altre nazioni europee. In un Paese così cattolico come l’Italia, si parla tanto di aiuti alla vita e alla maternità. Ma, concretamente, si fa davvero poco. Mancano reti di sostegno, quali asili nido o assegni familiari, che permettano alle donne di conciliare i tempi del lavoro e i tempi della famiglia. La maternità, spesso, è considerata solo un intralcio al lavoro e allo sviluppo. Mentalità aberrante! I figli non sono un bene privato, ma la ricchezza di tutti. Cioè, il futuro del Paese».

Ma quale tipo di famiglia occorre difendere?

«La Costituzione italiana, frutto di differenti correnti di pensiero (non solo quello cattolico), all’articolo 29 «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» tra un uomo e una donna. Ogni altra forma di unione non è famiglia. Altrimenti, daremmo un colpo mortale all’istituzione familiare. Occorre essere chiari anche dal punto di vista del linguaggio. Altro discorso, invece, è garantire alcuni diritti individuali alle persone che formano coppie di fatto od omosessuali. Ma ciò non ha nulla a che fare con la famiglia. Nel messaggio per la Giornata della pace 2013, Benedetto XVI dice, con chiarezza, che «rendere il matrimonio fra un uomo e una donna giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione, è un’offesa contro la verità ». È paradossale che, in un tempo in cui la famiglia è oggetto di pesanti attacchi, con l’intento di eliminarla, ogni forma di unione cerca, invece, di equipararsi o legittimarsi come famiglia».

C’è chi sostiene che il calo del numero dei matrimoni e della natalità e l’aumento delle convivenze e dei divorzi siano in parte connessi al cambiamento della condizione sociale della donna. Come giudica questa affermazione?

«Del tutto errata. Fa parte di una mentalità arcaica e maschilista, che considera la donna subordinata all’uomo, dedita solo al “focolare domestico” e alle incombenze di casa. Purtroppo, la crisi della famiglia e della coppia si deve a una società che promuove disimpegno, individualismo e relativismo etico. Una società che irride e banalizza la vita, il matrimonio e la famiglia. E che dichiara impossibili i legami duraturi. Così, i giovani si sposano già con una “riserva mentale”: che il legame possa non essere per sempre».

I giovani subiscono la pressione della crisi come non mai, tanto che la disoccupazione per loro è alle stelle. Così, restano in famiglia, in mancanza di opportunità. Stiamo buttando alle ortiche una generazione?

«L’Italia è un Paese che non crede nei giovani. A quarant’anni li considera ancora “bamboccioni”. In tutto prevale la gerontocrazia. Due milioni di giovani, dai 15 ai 26 anni, né studiano né lavorano. Per la società sono “fantasmi”. Oltre all’alta dispersione scolastica, tanti giovani sono rassegnati e il lavoro non lo cercano più. Quelli che, comunque ce la fanno, il futuro ormai lo cercano all’estero, al di fuori dei confini nazionali. Così, ci stiamo tagliando il ramo su cui siamo seduti. E perdiamo le migliori energie per lo sviluppo del Paese. Occorre invertire questa tendenza e investire, decisamente, su scuola e formazione ».

In questo quadro, la politica è assente, assorta nei suoi riti e nella difesa delle proprie posizioni. All’Italia è stato necessario rivolgersi ai “tecnici” per cercare d’invertire una rotta che avrebbe portato al naufragio. Oggi, molti italiani si chiedono: ce la faremo a ripartire?

«La crisi può tramutarsi in una grande opportunità. Ma ci vuole coraggio nel cambiamento, per una società più equa e onesta. Con più legalità e giustizia. È indispensabile un radicale ricambio di questa “casta” di politici, corrotti e inefficienti. Per una politica “alta”, che miri al “bene comune” e non agli interessi personali e di parte. Il Paese ha grandi risorse ed energie. Può ripartire e crescere, ma solo con più etica nella vita pubblica. Dopo il rigore, l’impegno deve mirare a maggiore equità e sviluppo. A partire dal lavoro, uno dei diritti più minacciati. Come ci ricorda Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata della pace, “il lavoro è un bene fondamentale per la persona, la famiglia e la società”, cui devono corrispondere “coraggiose e nuove politiche”».

Maria Grazia Olivero

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