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Numeri, parole e futuro dell’Unione europea

Sono giorni concitati e confusi nei rapporti tra Italia e Unione europea. Troppe le parole, e fuori misura, quelle pronunciate da una parte e dall’altra, non ne guadagna la comprensione della situazione e ancor meno il dibattito democratico di cui Italia e Ue hanno bisogno. Peggio: l’enfatizzazione di alcuni temi, da quello dei migranti a quello delle compatibilità dei conti pubblici, tende ad occultare nodi decisivi per il futuro dell’Europa e del nostro Paese.

Due le serie di numeri che vengono branditi come clave in questa vigilia di elezioni europee: da una parte quelli delle finanze pubbliche e dell’economia, dall’altra quelli del prevedibile scontro politico europeo tra populisti ed europeisti.

I numeri italiani, che qualcuno al governo sembra volersi giocare al lotto, sono essenzialmente tre: 2.300 miliardi di euro del debito, pari al 131% del Prodotto interno lordo; 2,14% sul Pil lo sforamento previsto del deficit pubblico, quasi un punto più di quanto atteso da Bruxelles e una previsione di crescita dell’1,5% per il 2019. Certificato senza contestazioni possibile il livello del debito pubblico, incerta la capacità di rispettare la soglia pur alta del deficit, immaginaria e senza fondamento ad oggi la prospettiva di una crescita che, concordemente, le agenzie internazionali (dall’Ue all’Ocse fino alla comunicazione questa settimana del Fondo monetario internazionale) stimano all’1%, se tutto va bene. Il messaggio che questi numeri mandano è chiaro: l’Italia scommette su una crescita largamente sovrastimata per ridurre la percentuale del debito e giustificare un deficit in infrazione a regole europee sottoscritte dall’Italia. Con l’intenzione chiara di addebitare all’Ue la responsabilità di un probabile fallimento della scommessa in caso di procedura d’infrazione e magari estendere l’accusa alla Banca centrale europea che a fine anno farà mancare il sostegno dato finora alle finanze pubbliche nazionali, con il rischio di un’esplosione degli interessi che l’Italia dovrà pagare per onorare il suo debito, un costo che già adesso si aggira sui 70 miliardi di euro all’anno.

Come se questi numeri non bastassero, non ci è stato risparmiato un diluvio di parole, utili però a capire meglio che cosa si nasconde dietro la guerriglia dei numeri. Il contesto è senza dubbio quello di campagne elettorali che si intrecciano tra di loro, quella italiana che dura dal referendum costituzionale del dicembre 2016 e quella europea da tempo avviata in vista delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo del 26 maggio prossimo: al centro della contesa, molto di più dei numeri contabili, il futuro dell’Ue, passando per il futuro della moneta unica.

Due gli schieramenti, in corso di aggregazione, che si contendono l’esito elettorale: da una parte coloro che non rinunciano al progetto europeo di “un’Unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa” e quanti vogliono abbattere l’Unione esistente e promuovere al massimo una confederazione di Stati sovrani.

Nelle scorse legislature le forze politiche europeiste detenevano una confortevole maggioranza, tradotta in un’intesa blindata tra Partito popolare europeo e Gruppo socialista per la presidenza del Parlamento. Uno scenario che probabilmente non si ripeterà dopo il voto di maggio, senza tuttavia il trasferimento della presidenza all’area “sovranista”, possibile minoranza più consistente che in passato, grazie ad una convergenza sul rifiuto dell’attuale assetto istituzionale europeo, ma sostanzialmente divergente sul futuro dell’Ue come logico per chi persegue solo i propri interessi nazionali.

È in questo varco che potrebbe prendere forma una nuova maggioranza di europeisti, con uno spettro più ampio di partiti, dai socialisti a Macron e dai Verdi ai liberali, tutti orientati a un rilancio dell’Ue, senza escludere il rischio di una spaccatura nel Ppe, in difficoltà a fare convivere Angela Merkel con Viktor Orban.

La posta in gioco è la sopravvivenza della moneta unica e della stessa Unione europea, contrastata dai sovranisti diffusi in tutta Europa e oggi molto attivi in Italia, come ci ha ancora ricordato l’incontro dell’altro giorno a Roma di Matteo Salvini con Marine Le Pen. Ed è questo il nucleo centrale della battaglia elettorale in corso, occultata astutamente dalla guerriglia su numeri e parole in libertà.

Franco Chittolina

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